Mum

Mum

La fiaba del pop folktronico

La loro musica è una miscela di beat elettronici ispirati alla scuola berlinese, partiture strumentali che uniscono chitarre, basso, piano, tastiere "vintage", archi, fisarmonica e altro ancora, e melodie dolcissime e delicate come una ninnananna. Ritratto degli islandesi Mùm, "strano caso" della scena elettronica mondiale

di Mauro Roma

I Mùm sono una delle band di punta nell'attuale panorama della musica elettronica, in particolare di quell'elettronica minimale e atmosferica che si è sviluppata negli ultimi anni soprattutto nel nord Europa (vedi i sorprendenti norvegesi Royksopp, nonché gli storici islandesi Gus Gus) e con i lavori dell'etichetta Berlinese Morr Musik.

Ma la formula dei Mùm è unica nel suo genere. È difficile infatti pensare a una band composta di talenti tanto diversi tra di loro e così ben assortita nel mondo della musica elettronica. I background dei quattro componenti della band infatti non potrebbero infatti essere più distanti: Gunnar Tynes viene da esperienze giovanili nel punk e nell'hardcore; Orvar Smàrason ha iniziato come compositore di musiche per videogiochi, lavorando semplicemente con un Commodore Amiga; infine le due gemelle Krìstin-Anna e Gyda Valtysdòttir vengono da studi classici, rispettivamente al pianoforte e al violoncello.

L'incontro tra i quattro avviene nel 1998, in occasione di una rappresentazione teatrale a Reykjavik. Le due sorelle Valtysdòttir facevano parte della compagnia che mise in scena lo spettacolo, mentre Orvar e Gunnar contribuirono alla colonna sonora. I due ragazzi infatti si erano infatti già uniti due anni prima, lavorando come remixer e collaboratori di vari artisti islandesi.
Nel 1999 i Mùm iniziano a farsi conoscere collaborando con il musicista elettronico-industrial Musikvatur, molto conosciuto in Islanda, e che ricambierà remixando in seguito alcuni brani del quartetto.

Ma è con il primo album Yesterday Was Dramatic, Today Is Ok che i Mùm si rivelano come una novità folgorante: inizialmente pubblicato nella sola Islanda dalla piccola etichetta Thule Records, l'album ci mette pochissimo a fare il giro del mondo, ottenendo un grande riscontro presso la critica specializzata e un crescente favore del pubblico. L'opera è in effetti un piccolo gioiello che mette subito in luce le peculiari caratteristiche del suono dei Mùm;e il cuore del loro sound non sta nei ritmi elettronici, evidentemente derivativi della scuola tedesca, soprattutto di gruppi come i Mouse On Mars, bensì nel dispiegamento di strumenti di ogni genere che vanno a sovrapporsi ai beat creati da Orvar. Tastiere giocattolo e sintetizzatori si alternano e si mescolano a strumenti classici, fisarmonica (suonata da Krìstin-Anna), chitarre e basso rigorosamente acustici. Tutto si amalgama con eccezionale naturalezza, immediatezza e semplicità, grazie a melodie di raffinata dolcezza e di grande potere evocativo. Dall'iniziale "I'm 9 Today" (brano che sarà poi al centro di una disputa tra loro e la Thule, a causa di una concessione pubblicitaria fatta dalla casa discografica a favore della Sony e non autorizzata dalla band) fino alla conclusiva "Slow Bycicle", il disco si sviluppa attraverso brani lunghi e avvolgenti, tutti strumentali esclusa l'incantevole "The Ballad Of Broken Birdie Records", in cui facciamo per la prima volta la conoscenza con le voce infantili e impalpabili delle gemelle Valtysdòttir. A spiccare, tra gli altri, sono pezzi come "Smell Memory", nervosa, quasi schizofrenica, tra beat ossessivi e un frenetico strimpellio di chitarra; tutta diversa è "There's A Number Of Small Things", forse il loro capolavoro, una tenue ninnananna con tanto di carillon, con una lievissima presenza in sottofondo di strumenti acustici, che nella sua parte centrale si chiude in un'armonia talmente rarefatta da diventare più vicina alla musica da camera che all'elettronica.Altro vertice è "Awake On A Train", brano nettamente diviso in due parti, una condotta a suon di ritmi elettronici "ferroviari", l'altra dominata invece dalla fisarmonica e da soffici chitarre. Gli otto minuti di echi e richiami lontanissimi di "Sunday Night" trasportano in una dimensione realmente magica e irreale. Quella dei Mùm è una musica che dietro un'apparente ingenuità nasconde una sofisticata ricerca sonora. "La nostra musica genera strane sensazioni - afferma Gunnar Tynes - come quando ti invade uno strano profumo che ti riporta a qualcosa che già conosci ma non riesci a definire. O come quando cammini all'aria aperta e ti colpisce la visione di cose che non ti aspetteresti insieme".

Dopo i remix per gli amici e connazionali Sigur Rós ed Emiliana Torrini, e una varietà di performance multimediali e colonne sonore (tra cui quella per una versione restaurata del classico "La Corazzata Potemkin"), i Mùm tornano con un disco che riesce a fare anche meglio del suo predecessore, Finally We Are No One . Pubblicato, come il precedente, in doppia versione in inglese e in islandese, dall'inglese Fat Cat Records (la stessa che ha fatto conoscere i Sigur Ròs), pensato e composto nel totale isolamento di un vecchio faro sulla costa islandese dove il gruppo si è rinchiuso per tre settimane, prodotto con l'aiuto di Valgeir Sigurdsson (già con l'altra islandese Bjork), il disco ripiega su un formato leggermente più definito e in un certo senso "pop" rispetto all'esordio. Sono molti di più i brani cantati, la lunghezza dei pezzi è generalmente più contenuta e l'elettronica lascia ancor più spazio alle melodie e agli strumenti acustici. Quello che non è cambiato, e che anzi è migliorato, è la straordinaria capacità del quartetto di dipingere atmosfere incredibilmente suggestive, soffuse e rarefatte, di risvegliare sensazioni profonde, di evocare paesaggi sconfinati e incontaminati: magistrali da questo punto di vista sono i due brani più lunghi e articolati del disco, gli otto minuti di "Half Noise", con la sua lenta, inesorabile discesa verso un abisso di silenzio appena solcato da rumori ambientali e i dodici minuti della conclusiva "The Land Between Solar Systems", nei quali le voci di Krìstin e Gyda si fondono in un sussurro che accompagna lo svolgersi del brano verso territori di sconfinata bellezza e malinconia. Ma sono tutti i brani a mostrare una qualità di arrangiamento superba, sia sul versante acustico (ascoltare per credere gli archi che chiudono "I Can't Feel My Hand Anymore") che su quello elettronico, come nello splendido singolo "Green Grass Of Tunnel".

Il risultato complessivo è un capolavoro di suggestioni sonore, che conferma il gruppo come una delle realtà più pregevoli della musica contemporanea e conferma l'Islanda come autentica miniera di musicisti capaci di andare a toccare le corde più sensibili dell'inconscio. Come dice lo stesso Orvar Smàrason: "Ci piace ascoltare quali sensazioni possano evocare le nostre canzoni. Quando componiamo e suoniamo non abbiamo alcuna intenzione di veicolare chi ascolta verso particolari atmosfere. È musica che nasce spontanea e che evidentemente non viene percepita allo stesso modo e dunque c'è chi immagina paesaggi, c'è chi la utilizza per proprie storie fantastiche e c'è chi si lascia cullare a mente libera. Quello che vogliamo è fare in modo che ognuno dei nostri ascoltatori possa dare la propria interpretazione in base alle emozioni che le nostre parole e le nostre note suscitano".

La delusione è però cocente quando, due anni dopo, esce nei negozi Summer Make Good. Qualcosa si è inceppato nella formula magica scoperta dal quartetto islandese (anzi, ora terzetto, dopo la defezione di Gýða Valtýsdottir). L'album delude innanzitutto dal lato "forte" della band, quello della naturalezza e della spontaneità. E delle atmosfere: catatoniche e statiche, in definitiva bloccate, inconcludenti, soporifere. Laddove nei dischi precedenti la rarefazione, il "dormiveglia", quei suoni soffusi e cullanti erano la forza, qui diventano la debolezza del gruppo.
Si sente che i ragazzi sono cresciuti, si sente in un brano come "Weeping Rock", dalla partitura affollata e complessa. L’uso dell’elettronica è peraltro meno evidente rispetto al passato: le percussioni sono spesso "reali", c’è sopravvento di strumenti "suonati". Insomma, la cornice è sopraffina, indubbiamente. È il quadro a lasciare perplessi. "Sing Me Out The Window" sarebbe un brano interessantissimo, grazie soprattutto alla felice intuizione di aggiungere una chitarra "western" all’arrangiamento, se non fosse banalizzata da un uso molto prevedibile dei rumorini elettronici e delle voci. E un brano più fantasioso come "The Island Of Children’s Children" è carino, ma poco ispirato.
I brani davvero interessanti sono praticamente soltanto i brevi intermezzi strumentali: l’introduzione "dark-ambient" di "Hú Hviss"; la parentesi cosmica di "Away"; il carillon stonato dal sapore country di "Small Deaths Are The Saddest" e soprattutto quel piccolo, raffinato capolavoro di assemblaggio sonoro che è "Stir". L’unica canzone che riesce a sollevarsi dal torpore generale è "Will The Summer Make Good", con i suoi suoni ambientali e le sue melodie sbilenche, sgangherate e avvolgenti.

Summer Make Good si riduce a un esercizio di stile, piuttosto sterile e monotono. Probabilmente è solo quello che si chiama "un disco di transizione", ma intanto la delusione c’è ed è inutile nasconderla.

Nel 2007, i Múm si ripresentano dopo molti sconvolgimenti nella line-up: persa anche la seconda gemella Valtysdòttir, Kristìn, fuoriuscita dalla band e finita coinvolta negli orripilanti scherzetti sonori del marito Avey Tare (già membro dei discutibili Animal Collective), i nuovi Múm ruotano attorno al duo dei fondatori, Orvar Smarason e Gunnar Tynes, ora coadiuvati dai nuovi membri Hildur Gudnadòttir (voce), Olof Arnalds (archi e chitarra) e Samuli Kosminen (percussioni). Una formazione che garantisce un sound più corposo e live che mai. A caccia di nuove ispirazioni, Orvar e Gunnar compongono quadretti nei quali la componente elettronica è sempre più defilata, ricorrono per la prima volta a una massiccia presenza di voci maschili, arrangiano i brani con coerenza, dinamismo e inventiva, fin troppa, mantenendo comunque sempre ben riconoscibile quell'impronta sonora volutamente sbilenca, infantile e naif che ha sempre distinto i Múm.

Go Go Smear The Poison Ivy è aperto dalla felice "Bressed Brambles", brano che nella struttura e nelle atmosfere cerca di risvegliare la magia del loro capolavoro Finally We Are No One. Ci riesce solo in parte, ma rispetto all'album di tre anni fa già si tratta di un bel passo avanti. Strade più insidiose vengono esplorate da "A Little Bit Sometimes", episodio decisamente riuscito, a differenza dell'inconcludente carillon di vocine e rumorini di "These Eyes Are Berries" e dell'imbarazzante "They Made Frogs...", musichetta da videogame anni Ottanta con insopportabili inserti vocali e strumentali.
Per fortuna, altrove l'altalenante andamento dell'opera torna su livelli più che dignitosi, specialmente con l'elegante "Moon Pulls", breve, umbratile incursione in territori totalmente acustici, e con "Marmalade Fires", brano splendido, cullante e irreale come solo i Múm nei loro momenti migliori riescono a creare. "Guilty Rocks" è forse la creazione più bizzarra della loro carriera e lascia interdetti, irrita e trascina in ugual misura. In ogni caso, si può sempre tornare su terreni più familiari, come la deliziosa vignetta atmosferica che chiude il disco, "Winter", e la calorosa "Dancing Behind My Eyelids", forse il brano meno originale dell'opera, eppure forte della melodia più bella, di quelle che si stampano nella memoria sin dal primo ascolto.
I bei tempi sono ancora lontani, ma tra luci e ombre Gunnar e Orvar si guadagnano una rinnovata credibilità.

Il successivo Sing Along To Songs You Don't Know prosegue nel percorso di ridefinizione dello stile della band dopo il suo riassestamento in collettivo ampio e aperto a collaborazioni. La dedica concettuale al tema dell'acqua si traduce in una consistenza "liquida" della musica della band lungo i cinquanta minuti di un album incentrato sulla ricerca di una freschezza pop, venata da reminiscenze alla tradizione corale e caratterizzata dalla coesistenza di residui elettronici sotto forma di battiti, crepitii e glitch, con una miriade di suoni provenienti da una strumentazione ricchissima, che comprende pianoforte, ukulele, marimba, organi e ricorrenti archi (questi ultimi ad opera di un quartetto di cui fa parte la violoncellista Hildur Guðnadóttir).
Anche qui non mancano florilegi elettro-analogici e quel gusto per ritmi scatenati e giocosi che rimanda alle origini folktroniche della band, ma si tratta di una presenza ormai timida e residuale, filtrata e sovrastata anche quanto ad efficacia di riuscita da indirizzi sonori più vari e convincenti.

Decisamente apprezzabili risultano le continue mutazioni stilistiche che pur senza scossoni si susseguono per tutto il corso dell’album, offrendo tante diverse sfaccettature del pop liquido e del trasognato folk corale che lo caratterizzano quali elementi salienti. Uno spirito pop solare finora inedito e la propensione a misurati coretti e controcanti permangono infatti quali costanti a partire dalle quali la band si cimenta in percorsi sonori in qualche caso sorprendenti.
Ma è soprattutto la parte conclusiva dell’album quella in cui i Múm mostrano di essere in grado di affrancarsi dal loro passato, ponendo l'accento su irregolari screziature acustiche, futuribili percorsi ambient-pop e coralità vintage sulle tracce, addirittura, di Stereolab e Grizzly Bear.
Si delinea così la nuova identità dei Múm, quella di una band che ha ritrovato una discreta personalità e freschezza espressiva, lasciandosi alle spalle il proprio passato artistico in favore di una divertita dimensione di pop folktronico.

In attesa che un nuovo album mostri ancor più chiaramente quali sono i nuovi percorsi artistici dell'ensemble, nel 2012 la Morr Music ha pensato bene di far scoprire ai fans quali sono state le prime incisioni e sperimentazioni del gruppo, quando i membri erano poco più che adolescenti. Early Birds comprede infatti il primo e raro 12" pollici dei Mùm condiviso con Spunk e pubblicato da una piccola etichetta locale quale la Sófi/Er Hommi, e in più versioni demo, tracce inedite e altre curiosità che spaziano dal 1998 al 2000 (anno che ha segnato la pubblicazione dello splendido esordio Yesterday Was Dramatic, Today Is Ok.
L'antologia parte proprio con le due canzoni del quotatissimo Ep del 1998, un brillante esempio di come la band sapesse ben amalgamare dolci ninne nanne, rimembranze infantili, esperimenti glitch elettronici ed echi folk già allora. "Bak Þitt Er Sem Rennibraut" e "Póst Póstmaður" sono due episodi che hanno nelle ritmiche qualche elemento che in seguiito non si troverà, ossia quasi un pulsare jungle-drum'n'bass realizzato con tastierine Casio, se non addirittura con qualche strumento giocattolo ancor più elementare. Anche la terza traccia "Gingúrt" è un divertimento su questi equilibri tra melodie graziose, ritmiche più martellanti e il sound di una fisarmonica anch'essa più che mai gioiosa e festaiola.
"Glerbrot" è invece una canzone che viene definita, sulla confezione del cd, come persa e ora (fortunatamente) recuperata: la batteria elettronica procede sempre lanciata su ritmiche spezzate, ma il mood è diverso - qui ci sono dei tappeti più notturni che sembrano quasi trovare dei punti di paragone con Pan American del primo album che incontra i Mouse On Mars di "Autoditaker". A seguire un altro inedito come "Hvernig Á Að Særa Vini Sína", in cui i beat sono più rallentati e soffusi, è più presente una chitarra effettata ma soprattutto arrivano per la prima volta le voci in un duetto maschile-femminile molto delicato, quasi timido. "Bak Þitt Er Sem Rennibraut" è invece la composizione tra le più anomale del gruppo, soprattutto per l'uso della sei corde che utilizza l'effetto distorto e rumoroso con pennate vigorose che hanno un finale quasi hard-rock (però sempre in chiave Mùm). "Insert Coin" è, come suggerisce il titolo, proprio una musichetta di un ipotetico videogioco, evidenziando così in maniera quasi nuda quanto questo aspetto ludico abbia influenzato l'opera della band.
Con "Loksins Erum Við Engin" si inizia a ben intravedere l'orizzonte sonoro che caratterizzerà la prima parte della carriera discografica dei Mùm. "Náttúrúbúrú" è invece un trait d'union tra la fase originaria, più dinamica, e la seconda, maggiormente rarefatta - proprio perché la composizione parte con frenesia e si conclude in maniera tenue. "0,000Orð" è una carezza di quelle che fanno intenerire anche i cuori più duri, quasi fosse una sorta di jingle televisivo della buonanotte per i bambini. La stessa cosa si può dire per "Lalalala Nlái Hnötturinn", una piccola poesia in musica che tutti coloro che hanno amato i primi tre album del gruppo devono assolutamente ascoltare.
Con le conclusive e restanti quattro tracce ormai si intuisce che i Mùm hanno trovato la personale formula espressiva. Ora non rimane altro che pubblicare e farsi conoscere. Di lì a breve il loro nome spiccherà il volo e saranno apprezzati da tante anime sensibili sparse per il mondo.

La pubblicazione di Early Birds aveva dunque entusiasmato, ma anche lasciato un po' di amaro in bocca, poiché quelle prime incisioni dei Mùm apparivano anche come suggestioni di minimale pop ed elettronica giocattolo melanconica che il gruppo sembrava aver tradito nelle sue ultime pubblicazioni. Di sicuro aveva anche avuto importanza la dipartita delle due fondamentali figure femminili, le sorelle Valtýsdóttir, che avevano reso sognante e fiabesco il suono già di per sé delicato ed evocativo degli altri due maschietti Örvar Þóreyjarson Smárason e Gunnar Örn Tynes che, dopo loro, non hanno trovato comprimari dello stesso livello artistico.
Ecco però, nel 2013, arrivare il nuovo, sesto lavoro Smilewound e subito si rimane colpiti da una bella notizia: Gyða, una delle due gemelle, è tornata nella band dopo oltre dieci anni e sin dalle prime note si intuisce che qualcosa è cambiato, in positivo.
L'album infatti si rivela, sin dalle prime note del singolo “Tootwheels”, ma soprattutto dalla seconda traccia, con titolo alla Mùm vecchia maniera, “Underwater Snow”: si intuisce che questo è il disco che sarebbe dovuto uscire dopo Summer Make Me Good (2004) per atmosfera e intensità.
Le canzoni, infatti, sembrano proprio le evoluzioni - con un mood più pop ma comunque soffuso - di quel percorso che amava suscitare ricordi infantili con i suggestivi scenari islandesi.
Le undici tracce del cd sono meravigliose, quasi familiari. C'è modo poi anche di divertirsi nel finale con “Whistle”, dove appare anche un'inattesa Kylie Minogue, versione eterea, per una collaborazione assolutamente riuscita e non invasiva.

Contributi di Raffaello Russo ("Sing Along To Songs You Don't Know") e Gianluca Polverari ("Early Birds", "Smilewound")