Una compilazione di quattordici tracce che sa di cous cous etnico e world music, ma non solo. Ecco gli ingredienti di questo “Canibalismo”, secondo capitolo dei newyorkesi Chicha Libre: 10% di ricordo di Carlos Santana prima che decidesse di darsi in pasto alle stazioni Fm americane; 10% di groove latino-americani ai quali è impossibile resistere al patto di essere ancora vivi; 10% di psichedelia sessantottina in grado di spaziare dal Medio Oriente al Momo Restaurant di Londra nella stessa traccia (“Depresiòn Tropical”); 70% di pura passione per la musica suonata, proprio come succedeva in tutte quelle formazioni nate a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta alle quali i Chicha Libre si rifanno: quindi mellotron, maracas, timbales, congas, vibraslap, locutor, oltre alla strumentazione tradizionale - dove piccano, soprattutto, le tastiere di Joshua Camp.
Il successo dovrebbe essere garantito. Invece dei Chicha Libre si parla ancora poco, pochissimo. Peccato, perché “Canibalismo” potrebbe essere un buon esempio per tutti di come dovrebbe suonare un disco che voglia “sfruttare” il filone nu-etno senza scadere nel commerciale. Cosi, anche quando si scimmiottano certi luoghi comuni del genere, dal passatismo autoreferenziale (“L'Age d'Or”) alle sperimentazioni eccessive (“Ride Of The Valkyries”, qui trasformata in un pezzo che non sfigurerebbe come traccia fantasma in un album dei
Ronin meno arzigogolati), all'ascoltatore rimane in volto solo il sorriso per aver scoperto una formazione che sa prendersi simpaticamente in giro, quando occorre. Capacità che è propria soprattutto di chi è consapevole dei propri mezzi e della propria identità. Così, nel verso opposto, i sei americani riescono a sfornare due riusciti e ingombranti tributi: il primo al genio matematico di Carl Friedrich Gauss (“Number 17”) e il secondo all'inventore della droga più famosa della generazione psichedelica (“Lupita En La Selva y El Doctor”).
La nutrita
line-up dei musicisti mescola, qualche volta forzando un po' la mano, strumenti tradizionali acustici ed elettrici, sempre comunque indirizzati a un mantenimento di un profilo funzionale e ammaliante. E se non c'è dubbio che il focus sia rappresentato da un'idea
retrò che si vuole dare di sé stessi, i Chicha Libre riescono a essere anche dei buoni cantori della modernità, che parlano ai contemporanei non dimenticandosi alcune delle figure più originali e innovative della cultura etnica di ogni era e di ogni latitudine: dal già citato Santana ad Al Di Meola, passando per
Caetano Veloso,
Miles Davis, Fela Kuti, Tito Puente, Juaneco y su Combo, Mohammed “Jimmy” Mohammed. Ne scaturisce un'opera amena nella sua ortodossia rispettosa dei dogmi, più simpaticamente
world che
etno, condotta in ogni caso con maestria, finezza e rigoroso senso musicale.
28/12/2012