Elephant 6

Pop in collettivo

Città del Capo, Sudafrica, 1977. Il torrido sole del Sud del mondo sovrasta la terra, laddove le gelide acque dell’Oceano Atlantico si sciolgono nel caldo abbraccio dell’Oceano Indiano, e nel tumulto delle onde che si infrangono l’una contro l’altra, la danza festosa di candida spuma si innalza al cielo terso, verso l’azzurro cristallino di una estate senza tempo.
Il piccolo Robert Schneider ha solo sei anni quando insieme ai suoi genitori parte dalla natia Cape Town per attraversare l’immensa distesa blu, misteriosa e profonda, che guarda ad occidente. Meta di questo viaggio, che ai suoi occhi di bambino pare interminabile, è il (certamente meno caldo) Sud degli Stati Uniti. La famiglia Schneider si stabilisce definitivamente in Louisiana, la terra delle grandi piantagioni e delle suggestive baie, ed è proprio qui, nello “Stato dei pellicani”, dove la tradizione si accende di colori, dove la musica è come una scintillante instancabile girandola, che ha inizio questa storia.

Ruston, Louisiana, 1979. Robert è al suo primo giorno di scuola, quando un bambino gli si avvicina con una mazza da wiffleball, chiedendogli se vuole giocare. Robert teme che l’altro voglia picchiarlo con la mazza, per cui nonostante il bambino lo rassicuri di non averne intenzione, egli si volta e scappa via. L’altro prende ad inseguirlo per tutto il campo da gioco, roteando la mazza in modo scherzosamente minaccioso sulla propria testa. Così, con una rocambolesca pantomima di guardie e ladri, ha luogo il primo importante incontro nella storia del Collettivo degli elefanti, quello tra due dei quattro fondatori dell’Elephant 6 Recording Company: Robert Schneider e Jeff Mangum.

Il terzo protagonista storico del Collettivo, Will Cullen Hart, fa la sua comparsa poco più tardi. L’incontro con Jeff Mangum avviene a scuola di Will, dove Jeff si presenta chiedendo di poter entrare a far parte della squadra di football, non avendone una nella propria scuola. Robert e Will si conoscono qualche tempo dopo, quando tutti e tre i ragazzi prendono parte al loro primo concerto, quello dei Cheap Trick alla Louisiana Tech University, riuscendo a sistemarsi in posizione privilegiata sotto il palco. Il chitarrista della band, Rick Nielsen, a un certo punto lancia verso il pubblico un plettro, che va a cadere proprio ai piedi di Robert e Will, rendendo la serata ancora più indimenticabile.
Gli anni a seguire sono quelli dei primi impacciati approcci con la scrittura musicale, dove tra lezioni di musica, militanza in gruppi locali e scambi di musicassette autoprodotte, la ricerca di una propria individualità si confonde con il continuo bisogno di confrontarsi con gli amici.
Will e Jeff, nel tentativo di scimmiottare il punk senza tuttavia avere una chiara idea delle caratteristiche del genere in questione, se si eccettua la crudezza dei testi, si riducono spesso e volentieri a riempire le loro musicassette di “Fuck Your Mom!” e altre simili espressioni di rabbia adolescenziale urlate al microfono.
In questa fase iniziale di sperimentazione, mentre Will e Jeff manifestano le proprie emozioni in maniera molto spontanea ma altrettanto confusa, senza prendersi troppo sul serio, Robert, che da subito si è distinto per la sua abilità alla chitarra, inizia a dare prova di una creatività artistica più concreta, realizzando canzoni ben strutturate seppure ancora piuttosto acerbe.

E’ proprio nel periodo delle musicassette autoprodotte che matura tra i ragazzi l’idea di fondare una casa discografica. L’iniziale spunto per il nome della nascente etichetta, in quel momento ancora solo un progetto in nuce, è opera di Will Hart, il quale propone il nome “Elephant 6” come a seguito di una illuminazione improvvisa. Il nome definitivo della label tuttavia è da considerarsi il primo frutto della collaborazione tra i membri del Collettivo, poiché è Robert a completare la dicitura in “Elephant 6 Recordìng Company”, dando così un tocco di ricercatezza in più alla originaria proposta di Will. Dallo stesso Will viene inoltre ideato il logo della label, e così sulle musicassette home-made destinate prevalentemente agli amici (o a qualche acquirente in sede live) inizia a circolare quello che poi diventerà il simbolo ufficiale della casa discografica del Collettivo.

Il quarto membro fondatore degli Elephant 6 è una sorta di outsider, poiché non vive a Ruston ma nella limitrofa Dubach. Il suo nome è Bill Doss, ed entra in contatto con Robert Schneider ai tempi delle scuole superiori, quando Robert, che è a caccia di musicisti per mettere su una band, in un negozio di strumenti musicali trova un annuncio di Bill, corredato da un elenco di artisti di riferimento dove tra gli altri figurano anche i Van Halen, gruppo che Robert adora. In realtà poi Robert scopre che i Van Halen sono solo un vecchio amore di Bill, ma i due ragazzi condividono la passione per i Beatles e la new wave, e tanto basta: Bill entra a far parte, prima come cantante e poi come bassista, della band di Robert, i Fat Planet, che si ispirano sostanzialmente alle sonorità pastello di Beatles e Velvet Underground e che restano attivi per qualche anno.
In questo stesso periodo Will e Jeff si trovano alle prese con la loro sperimentazione di matrice punk. Il loro primo gruppo è una “white noise band” chiamata Maggot, che lo stesso Jeff definirà in seguito “la più disgustosa band che sia mai esistita”.

I quattro ragazzi della Lousiana cominciano a costruirsi una robusta impalcatura di conoscenze musicali solo quando si allontanano dalla sonnolenta Ruston, dove gli stimoli in tal senso sono pressoché inesistenti (il più vicino negozio di dischi è a sessanta miglia di distanza…): negli anni delle scuole superiori vengono a contatto con la scena rock underground grazie alle sporadiche escursioni alla Louisiana Tech University, nella cui stazione radio cercano di crearsi un loro spazio in veste di deejay, spendendo ore a esaminare i dischi che passano tra le loro mani. In tal modo i quattro futuri fondatori del Collettivo E6 raffinano i loro gusti: The Zombies, Small Faces, Syd Barrett, Scratch Acid, Tall Dwarfs sono solo alcuni dei nomi che iniziano a circolare entusiasticamente nei loro discorsi. Il maggior coinvolgimento in presa diretta con la scena musicale, inoltre, consente ai ragazzi di creare un giro di conoscenze da poter sfruttare per pianificare i loro concerti, così quando qualche band interessante passa per Ruston possono organizzare insieme ai loro amici degli opening act, mettendosi alla prova su un palcoscenico di ampio respiro.

Tagliati fuori dai contesti commerciali, Robert, Will, Jeff e Bill si lasciano trasportare dal fluire dei suoni che scaturiscono dalle loro menti, supportandosi ed influenzandosi a vicenda e plasmando in questo modo la musica che la loro piccola ma fervente comunità di amici inizia a creare. Questi anni di sperimentazione e apprendimento, accompagnati dall’intenso scambio di musicassette home-made, rappresentano pertanto una fase fondamentale nel percorso formativo comune.

Alla fine degli anni 80 Will e Jeff danno vita a un progetto pop sperimentale, i Cranberry Lifecycle. Robert Schneider, che è tra i primi ad ascoltare le loro musicassette, rimane ammaliato dalle nuove composizioni dei suoi due amici: “Le registrazioni dei Cranberry Lifecycle erano strabilianti, e hanno realmente ispirato anche le mie registrazioni di quel periodo. Questa è tra la roba migliore che sia mai, MAI, uscita fuori dal Collettivo Elephant 6, caratterizzata da una perfezione lo-fi libera e spontanea, accattivante e surreale”.

Terminate le scuole superiori, Will Hart lascia Ruston e, dopo un periodo trascorso in giro per gli Stati Uniti, si trasferisce insieme all’amico Jeff Mangum ad Athens, in Georgia, dove successivamente li raggiungerà anche Bill Doss. La vivace e ispirata attività compositiva dei due musicisti si mescola alla vita quotidiana, tanto che la comune abitazione di Will e Jeff viene adibita a sala prove/registrazione, dove i due passano la quasi totalità delle giornate, armati di un piccolo set di batteria e di un paio di chitarre e supportati dal preziosissimo registratore a 4 piste di Will. Il battesimo in sede live è sancito dalla trasformazione del nome Cranberry Lifecycle in The Syntetic Flying Machine, che risulta tuttavia essere poco più che una mera operazione d’immagine, poiché lo stile resta immutato tanto quanto la line-up, composta sostanzialmente ancora da Will Hart alle chitarre e Jeff Mangum alla batteria, sporadicamente affiancati da Bill Doss.

Quando Bill lascia definitivamente Ruston raggiungendo in pianta stabile Will e Jeff ad Athens, egli viene rapidamente assorbito dalla mantrica spirale creativa, diventando a tutti gli effetti un componente fisso del gruppo, sia in qualità di bassista che in veste compositiva: si forma così ufficialmente il primo combo degli Olivia Tremor Control.
In realtà tale originaria formazione della band capitanata da Will Hart durerà poco, perché dopo la pubblicazione di “California Demise”, primo EP degli Olivia Tremor Control, Jeff Mangum lascerà Athens per girare gli Stati Uniti, tornando infine a Denver per dedicarsi al progetto musicale iniziato durante le scuole superiori, contemporaneamente a quello dei Cranberry Lifecycle. Da quel progetto e dal suo moniker originario (Milk Studios) avranno origine i Neutral Milk Hotel.

Parallelamente agli eventi di Athens, Robert Schneider lascia Ruston e, dopo una serie di spostamenti, nel 1991 giunge a Denver dove si iscrive all’Università del Colorado nella vicina Boulder. Poco dopo il suo arrivo in città, Robert risponde a un annuncio per la ricerca di un bassista, e inizia così a suonare in una band locale. Le cose però non sembrano funzionare troppo bene, tanto che Robert e il chitarrista del gruppo, Chris Parfitt, accomunati da diverse passioni musicali (Beach Boys e Pavement su tutti), decidono di iniziare un progetto per conto proprio.
Nello stesso periodo, su un autobus che porta da Denver a Boulder, Robert incontra Jim McIntyre, anch’egli studente alla University of Colorado. Il condiviso amore per i Beach Boys è la scintillante miccia che accende la conversazione, dirottandola su territori musicali e facendo subito nascere una empatia tra i due ragazzi. Jim suona il basso e ha una coinquilina di nome Hilarie Sidney che si cimenta alla batteria; entrambi militano, già dalle scuole medie, in un gruppo chiamato Von Hemmling. Poco tempo dopo l’incontro in autobus, sia Jim che Hilarie vengono inclusi nel nuovo progetto musicale di Robert e Chris, The Apples, che soltanto nel 1995 completerà il suo nome in The Apples In Stereo. “L’idea originaria”, racconta Jim, “era quella di creare una specie di eccentrica lo-fi pop band, il cui suono fosse sovrastato da un effetto fuzz/noise. Per i miei gusti, le migliori registrazioni di The Apples sono quelle che sono state eseguite direttamente sullo stereo portatile in sala prove: ruvide come l’inferno ma intense come nient’altro”.

La pubblicazione del primo Ep di The Apples, “Tidal Wave”, nel giugno del 1993, è l’evento inaugurale che sancisce ufficialmente la nascita della “Elephant 6 Recording Company”. Così, dopo che “Elephant 6” era stato per lungo tempo solo un nome utilizzato da quattro ragazzini della Louisiana che applicavano il logo E6 su delle musicassette home-made contenenti le loro prime sperimentazioni musicali, a distanza di anni la tanto sospirata casa discografica prende finalmente vita, permettendo che il sogno di Robert, Will, Jeff e Bill diventi una concreta realtà.
“Tidal Wave” viene registrato in multitraccia con un 4 piste da Robert Schneider nel 1993. Del 7’’ d’esordio della band di Schneider vengono quindi stampate ottocento copie: cinquecento su vinile verde e trecento su vinile nero. Ed è solo l’inizio.

“Will faceva gran parte dell’artwork”, ricorda Robert. “Noi preparavamo i cataloghi, noi duplicavamo le cassette. All’inizio era solo una piccola label di musicassette e molto presto soddisfare le richieste non fu semplicemente più possibile. Dopo aver inviato le prime cinquanta cassette, iniziammo a rimanere indietro. Non stavamo cercando di raggiungere un qualche livello di accettabilità o di successo. Tutto quello che cercavamo di fare era dare al mondo qualcosa di buono, e al diavolo il resto”. Un entusiasmo genuino anima i membri di Elephant 6 in questa operazione di “music spreading for the world’s sake”. I fondatori del Collettivo, infatti, sono convinti di poter superare le barriere di una visione edonistica della musica, prendendo così le distanze dalla spirale wildeiana dell’arte fine a sé stessa e proponendo, piuttosto, un modello eudemonistico della musica, intesa come mezzo (ausiliario) per il raggiungimento di un benessere tanto individuale quanto collettivo. Jeff Mangum spiega: “Quando abbiamo iniziato con questo progetto di Elephant 6 avevamo una visione fortemente utopica, che ci portava a credere di poter superare qualsiasi difficoltà attraverso la musica. La musica non era lì esclusivamente come forma di intrattenimento: cercavamo di farci promotori di un qualche tipo di cambiamento. Desideravamo trasformare le nostre vite e le vite di coloro che ascoltavano le nostre canzoni”.

E’ da subito chiara, dunque, quella che sarà l’evoluzione nel significato del nome Elephant 6, che già dagli esordi rappresenta per i suoi quattro membri fondatori molto più di una label, e in effetti il ruolo di casa discografica resterà, anche per questioni economiche, sempre piuttosto marginale, in particolare poi se paragonato al significato etico-associativo che il Collettivo assume sin dagli inizi: Elephant 6 è soprattutto una sorta di credo che guida il percorso artistico degli appartenenti al Collettivo, un insieme di ideali che interessano la sfera musicale ma che si estendono in buona parte anche alla realtà quotidiana, influenzando così tanto le scelte artistiche quanto quelle di vita.
Gli appartenenti al progetto Elephant 6 sono accomunati da un fortissimo spirito di cooperazione, nell’accezione più “hippie” del termine, dove tutti condividono le proprie idee e i propri progetti con gli altri: alla luce di questo spirito, esteso sia alla musica che alla vita di tutti i giorni, appare allora comprensibile la scelta di alcuni membri del Collettivo di trasferirsi in una comune, la Orange Twin Community di Athens, dove molti di essi vivono tuttora. Inoltre, da un punto di vista più strettamente musicale, li accomuna un simile approccio all’arte, inteso come unisona concezione delle sue finalità e predilezione degli stessi mezzi, all’interno di una tutto sommato variegata modalità di espressione delle proprie potenzialità.

Prendendo spunto dai Surrealisti, nelle prime fasi di attività di Elephant 6 viene anche stilata una specie di manifesto del Collettivo, che ne dichiari le finalità e i principi fondamentali. Questo manifesto di intenti al quale il Collettivo si propone di fare fede, tuttavia, non si rivela affatto rigido, risolvendosi all’atto pratico in pochissimi punti fermi, rappresentati da quelle stesse convinzioni che animavano i quattro ragazzi di Ruston cresciuti a suon di musicassette. Negli anni 90 Robert Schneider proclamava: “Noi crediamo nell’uso di macchinari casalinghi, in modi ingegnosi di ideare le cose e nello scrivere canzoni che comunichino con la gente. Vogliamo realizzare dischi classici che riescano a sopravvivere al proprio tempo e che possano essere accessibili a persone di tutte le età.” A distanza di molti anni, sulla copertina di un catalogo del 2004, si può similmente leggere: “Noi crediamo nel 4 piste, nelle belle sonorità & idee, ma più di ogni altra cosa noi crediamo nelle CANZONI”.
Fondamentalmente, dunque, il manifesto programmatico del Collettivo si riassume in una smisurata passione per le registrazioni lo-fi, nella maniacale ricerca del dettaglio e del particolare insolito (dall’utilizzo di strumenti esotici o stravaganti come sitar, sarangi, sega a mano, zanzithophone e così via, alla tendenza a uno sperimentalismo più o meno estremo) e nell’espressione di una musica pop che risulti quanto più possibile comunicativa, intensa e insieme accessibile, espressiva e vicina al pubblico alla quale è rivolta: in altre parole, come il nome del principale genere di riferimento suggerisce, “popular”. Non sempre naturalmente il risultato è conforme alle aspettative, anzi, in più di un caso la musica del Collettivo risulta estremamente elaborata e poco immediata, soprattutto quando lo sperimentalismo psichedelico si fa più spinto. Tuttavia le ammiccanti sonorità à-la Beach Boys e le melodie soffuse di reminiscenza beatlesiana, due differenti aspetti che caratterizzano molti dei lavori del Collettivo, riescono a conquistarsi un ampio spettro di consensi.

Nel 1994 la Elephant 6 Recording Company pubblica il suo secondo lavoro, il 7” d’esordio degli Olivia Tremor Control, “California Demise”. Successivamente, come già detto, Jeff decide di tornare a Denver, dove prendono vita i suoi Neutral Milk Hotel, che in un secondo momento si trasferiranno ad Athens.
Le vicissitudini del Collettivo da questo punto in poi si fanno ancora più articolate, per la progressiva entrata in scena di numerose nuove leve, sia in termini di singoli che di gruppi. Tale fervido movimento, che accompagna la storia del Collettivo sin dai suoi esordi ufficiosi, è caratterizzato da un fitto fiorire di collaborazioni incrociate tra i membri delle diverse band, tanto in sede live quanto in sede di registrazione, e questo complica in maniera esponenziale un albero genealogico già in partenza piuttosto intricato.

La duplice dislocazione geografica dei membri fondatori della Elephant 6 Recording Company (Athens e Denver) negli anni di fervida attività della label, fa sì che i gruppi coinvolti nel progetto Elephant 6 siano prevalentemente dislocati nell’una o nell’altra area, tanto che è possibile per semplicità raggruppare le band del Collettivo in due categorie: E6 East (gruppi militanti ad Athens, dove risiedono sia The Olivia Tremor Control che Neutral Milk Hotel) e E6 West (gruppi che gravitano intorno a Denver, località che ospita The Apples In Stereo).
La E6 East, dislocata in Georgia, rappresenta la categoria in cui le contaminazioni tra gruppi sono maggiori: è molto frequente che gli stessi musicisti suonino contemporaneamente in band diverse, anche solo come “comparse” in sede di registrazione o negli spettacoli dal vivo. A questa categoria appartengono, oltre agli Olivia Tremor Control e ai Neutral Milk Hotel, anche The Sunshine Fix e The Always Red Society (i rispettivi progetti solisti di Bill Doss e Will Hart), Black Swan Network (side-project sperimentale degli Olivia Tremor Control), Circulatory System (altro progetto collaterale degli Olivia Tremor Control), Pipes You See, Pipes You Don’t (progetto solista di Pete Erchick, tastierista degli Olivia Tremor Control), Chocolate U.S.A. e The Music Tapes (rispettivamente band d’esordio e main-project di Julian Koster, bassista dei primi Neutral Milk Hotel), The Gerbils (comprensivo di alcuni membri dei Neutral Milk Hotel), Elf Power (che comprende amici di vari componenti del Collettivo) e progetti volutamente misteriosi ed enigmatici come Major Organ And The Adding Machine, Frosted Ambassador, Dixie Blood Moustache e Clay Bears.
La E6 West, con sede in Colorado, oltre a The Apples In Stereo comprende Marbles (il più longevo e prolifico progetto solista di Robert Schneider), Ulysses e Orchestre Fantastique (altri recenti progetti minori di Robert, che lo vedono rispettivamente in veste di frontman e di solista), Von Hemmling (lo storico progetto di Hilarie Sidney e Jim McIntryre, che viene rilevato da Jim come progetto solista dopo l’ingresso di entrambi negli Apples In Stereo), Secret Square (il side-project di Hilarie), High Water Marks (altro più recente progetto di Hilarie Sidney, che diventerà l’unico dopo il suo abbandono degli Apples In Stereo), Dressy Bessy (progetto di cui fa parte John Hill, secondo chitarrista degli Apples In Stereo), e infine i Minders, gruppo che è di stanza a Portland, ma che può essere incluso nella E6 West poiché nasce a Denver, dove staziona inoltre per lungo tempo prima di trasferirsi definitivamente in Oregon (e in una primissima fase del periodo di Denver anche Robert e Hilarie sono coinvolti in questo progetto).

E6 East e E6 West non includono in realtà tutti gli appartenenti al Collettivo: oltre ai gruppi citati ci sono infatti alcuni cosiddetti “outsider”, cioè delle band che non possono essere geograficamente ricondotte né ad Athens né a Denver. Si tratta dei Beulah di San Francisco e degli Essex Green di Brooklyn, entrambi scoperti e reclutati da Robert Schneider. Per questi gruppi, pertanto, l’ingresso nel Collettivo non segue il canale preferenziale delle conoscenze/amicizie comuni, che negli altri casi è, come già detto, la prassi più comune, se non addirittura la regola: “Una band - spiega Schneider - diventa membro di Elephant 6 per invito. Un modo per diventare parte di Elephant 6 è per associazione. A volte capita, come è successo con i Beulah, che ascolti una band e pensi: Questo è uno spirito affine. Questo è Elephant 6”.
Oltre a quelli elencati in precedenza, che rappresentano il Collettivo “propriamente detto”, numerosi altri gruppi sono inseriti nel novero degli appartenenti ad Elephant 6, sebbene l’assenza del logo ufficiale della Elephant 6 Recording Company nei loro album li escluda automaticamente dall’appartenenza alla cerchia ufficiale e più ristretta del Collettivo. Questi gruppi sono generalmente riuniti nella cosiddetta “extended family”, e sono caratterizzati dalla militanza (anche solo passata) al loro interno di appartenenti al Collettivo propriamente detto. Tra i diversi gruppi facenti parte della extended family spiccano, anche per il notevole riscontro di pubblico ottenuto, gli Of Montreal, prolifica band di stanza ad Athens.

Molti gruppi del Collettivo Elephant 6 raggiungono un discreto successo commerciale, soprattutto nella seconda metà degli anni 90: tra questi, oltre ai tre gruppi-cardine del Collettivo, vanno senz’altro menzionati Elf Power e Beulah. Il crescente impegno dei singoli gruppi, legato alla loro maggior visibilità e alle pressioni da parte dei fan e dei media, determina un allontanamento sia fisico che psicologico di molti di essi dalla idilliaca situazione comunitaria creatasi nel corso degli anni, spingendo spesso le singole band in direzione di un maggiore individualismo. Questa specie di diaspora mediatica, se da un lato ha il vantaggio di mettere in risalto i diversi talenti estrapolandoli dalla tendenza all’uniformazione propria di una situazione eccessivamente “incestuosa” come quella del Collettivo, ha d’altro canto un grave risultato collaterale, legato al disgregarsi dei presupposti necessari al mantenimento del principio di “l’unione fa la forza”: succede così che alcuni dei membri di Elephant 6, soprattutto quelli maggiormente esposti per propria indole agli effetti deleteri di condizioni fortemente stressanti, vadano incontro a una profonda crisi creativa e personale.
Il caso più eclatante è certamente quello di Jeff Mangum, che improvvisamente si chiude in sé stesso, rifuggendo le luci della ribalta e ritraendosi in una silenziosa pausa da qualsiasi attività, artistica e non, fino a creare nell’opinione pubblica un vero e proprio “Caso Mangum”. L’allora compagna di Jeff, Laura Carter, uno dei membri fondatori degli Elf Power nonché elemento “jolly” per molte band del Collettivo, di quel periodo ricorda: “Quando i Neutral Milk Hotel iniziarono a diventare così famosi, Jeff cominciò a tirarsi indietro dall’intera faccenda. Molta gente che ci avvicinava durante gli spettacoli dal vivo iniziò ad avere un atteggiamento simile ad un culto, e a me la cosa spaventava abbastanza, perché noi non eravamo altro che semplici persone. Certo, eravamo molto entusiasti nell’aver dato vita a qualcosa di tanto meraviglioso, perciò all’inizio ci sentivamo totalmente elettrizzati. Poi, però, quando le cose hanno iniziato ad ingigantirsi rapidamente, abbiamo avuto tutti un po’ paura”.

Lentamente la Elephant 6 Recording Company inizia a disgregarsi, dopo aver assaporato per un brevissimo lasso di tempo i dolci frutti della gloria, grazie in particolare al successo su vasta scala raggiunto dai Neutral Milk Hotel e, in minor misura, dagli Olivia Tremor Control. I pochi mesi di successo planetario sono tuttavia sufficienti a generare un crescente senso d’oppressione e una condizione di ansia diffusa. Alle crisi personali dei membri fondatori si aggiungono problemi di carattere organizzativo e difficoltà tecniche legate all’inadeguatezza dei mezzi a disposizione per le registrazioni. “The death of the party came as no surprise” cantavano i Blur nel 1997, e volendo immaginare una frase profetica riferita alla conclusione dell’avventura della label di Athens, non se ne potrebbe trovare una migliore: il declino della Elephant 6 Recording Company, idealmente iniziato alla fine del 1998 con la crisi di Mangum, culmina nel 2002 nell’annuncio della chiusura della casa discografica, che tuttavia non risulta essere mai una decisione definitiva, poiché nel corso degli anni seguenti la Elephant 6 continua ancora a produrre degli album, sebbene si limiti esclusivamente alla bassa tiratura.

In ogni modo, non potendo più fare riferimento alla label di Athens in maniera stabile, molte delle band appartenenti al Collettivo vengono assorbite da major o si affidano ad altre case discografiche indipendenti, tra le quali va menzionata in particolare la Orange Twin Records, label fondata da Laura Carter, che si affianca alla Elephant 6 Recording Company già dal 1999 e che ne prosegue idealmente il cammino durante gli anni bui, convogliando nella sua sede (la Orange Twin Community) numerosi artisti originariamente legati al Collettivo.
I rapporti tra i membri del Collettivo nel periodo post-Elephant 6 proseguono sia dal punto di vista artistico che da quello umano e si contano ancora, anche in questa fase di silenzio della label di Athens, diverse collaborazioni tra le varie band. Lo spirito comunitario e il piacere di condividere le stesse passioni, ovvero i cardini fondamentali del “Credo Artistico” di Elephant 6, restano pertanto immutati anche dopo la scomparsa dell’elemento fisicamente unificatore, dimostrando che tutto sommato ciò che Elephant 6 rappresenta va ben oltre le quattro mura di un edificio insonorizzato.

La sensazione è che ora tra i membri dell’ex-Collettivo tutto avvenga in maniera meno frenetica e più distesa rispetto a un tempo. Ciò che emerge dalle interviste e dai commenti rilasciati in tale periodo dai diversi membri del Collettivo è un senso di diffusa pacificazione, una sorta di ritorno alla “normalità” antecedente il successo, accompagnato da una ritrovata genuina passione nel dedicarsi alla musica, singolarmente o tra amici, mantenendosi per lo più lontani dalle caotiche (op)pressioni del mondo esterno. Le parole di Jeremy Barnes, batterista degli ultimi Neutral Milk Hotel, riassumono perfettamente lo spirito: “Credo davvero che si trattasse solo di quattro ragazzini della Louisiana che lavoravano sulle loro musicassette per impressionarsi a vicenda e che, dopo tutto ciò che è successo, ancora adesso si tratti soltanto di questo. Oggi come oggi ad alcuni di loro non importa assolutamente che il mondo sappia o no cosa stiano facendo, mentre continuano a tenere in grande considerazione quello che pensano i loro amici”.

Nel 2007 Robert Schneider decide di giocare al rilancio con l’idea della label, idea che a dire il vero il frontman degli Apples In Stereo non ha mai abbandonato del tutto, neppure negli anni di silenzio della casa discografica di Athens. Per l’uscita di “New Magnetic Wonder”, ultima fatica della band, Schneider torna alla carica con la Elephant 6 Recording Company e sull’album fa nuovamente bella mostra di sé lo storico logo degli elefanti, a cinque anni dall’ultima volta in cui la label statunitense si era interessata alla promozione di un lavoro di grossa tiratura. Schneider in occasione dell’uscita del disco annuncia: “La Elephant 6 Recording Company riapre le sue porte e finestre ed invita tutto il mondo: unitevi a noi insieme ai vostri amici e farete qualcosa di speciale, di significativo, qualcosa da ricordare quando sarete vecchi”.

Queste entusiastiche parole di Robert saranno coronate dall’auspicato ritorno in auge della storica label del Collettivo? E’ prematuro dirlo, ma una cosa è certa: lo spirito del Collettivo in tutti questi anni non si è mai sopito, mentre il significato più bello e prezioso di Elephant 6 continua a vivere ancora oggi nell’intimo calore di un gruppo di amici, nella loro passione per la musica e nel loro incondizionato votarsi agli ideali in cui credono. Ma soprattutto, lo spirito di Elephant 6 trae la sua forza vitale dal profondo e sincero affetto che unisce i suoi appartenenti da sempre, sin da quando dei ragazzini in Louisiana si divertivano a scambiarsi musicassette autoprodotte. E, a quanto sembra, fintanto che queste condizioni perdurano, sulla favola di Elephant 6 non potrà mai essere scritta la parola fine.


BIBLIOGRAFIA


I Have Been Floated: An Oral History of the Elephant 6 Collective by Brian Heater

Elephant 6 Recording Company Primer by Mark Harris

Elephant 6 Recording Company official website

Have You Seen Jeff Mangum? by Kevin Griffis

Manifesto Destiny. The Elephant 6 in your Parish: literate pop by Melanie Haupt

Apples In Stereo - A Terrascopic interview by Jud Cost

Discografia

Apples In Stereo – Tone Soul Evolution (1997)
Apples In Stereo – The Discovery Of A World Inside The Moon (2000)

Beulah – When Your Heartstrings Break (1999)

Circulatory System – Circulatory System (2001)

Dressy Bessy – Pink Hearts, Yellow Moons (1999)

Elf Power – Dream In Sound (1999)
Elf Power – Creatures (2002)

Essex Green – Everything Is Green (1999)

Neutral Milk Hotel – In The Aeroplane Over The Sea (1998)


Olivia Tremor Control – Music From The Unrealized Film Script “Dusk At Cubist Castle” (1996)
Olivia Tremor Control – Black Foliage: Animation Music Volume 1 (1999)
Pietra miliare
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Elephant 6 sul web

Sito ufficiale