Forti di una reputazione sul campo, conquistata con una carriera live quasi decennale, i Glasshopper pubblicano il tanto atteso secondo album, un ricco campionario di tecnica e inventiva in nome di un electro-jazz avventuroso e avvincente.
Pur di stanza a Londra, la band è composta per due terzi da musicisti scozzesi: il compositore e rinomato sassofonista Jonathan Chung e il batterista Corrie Dick sono di Glasgow, mentre il chitarrista James Kitchman proviene dal Northumberland. L’interazione tra sax, chitarra e batteria del trio jazz-rock è come una colata lavica, in continua e imprevedibile espansione eppur compatta e affascinante, con un ampio spettro di influenze che vanno da Evan Parker e Jan Garbarek a Jimi Hendrix, Beatles, Radiohead e Faust.
La natura poliedrica del trio è palese già dalla prima elettrizzante traccia “A New Thing”, diserzioni ritmiche e furenti note di sax e chitarra dettano tempi
post-rock per poi discioglierli in una fuga jazz-rock che nel finale abbraccia la magia di alcune pagine di
Bill Frisell. Frenesia e irrequietudine armonico/ritmica sono il vero punto di forza dei Glasshopper, peculiarità che la tracimante e ironica “I Go To Bed At 10pm” (traduzione: vado a letto alle dieci del pomeriggio) esplora senza alcun freno creativo, passando da graffi chitarristici su tempi jazz-rock ad ardimentose divagazioni di sax e distorsioni chitarristiche, che anticipano l’urlo liberatorio di una voce distante.
“I’m Not Telling You Anything” si colloca con originalità e autorevolezza in quel
post-cool-jazz che gruppi come i
Polar Bear hanno elaborato e codificato e che i
Led Bib hanno emancipato. Le esplicite attitudini rock di “Grunge”, la straordinaria architettura strumentale e armonica della pagina più imprevedibile e quasi free-jazz “When You Find”, la delicata incursione nell’elettronica e nella potenza descrittiva del suono più vicino al silenzio di “Take Out The Sun” e il sensuale
groove di “Major Hit” sono solo alcuni degli aspetti della musica dei Glasshopper.
Le potenzialità del trio sono sia in senso puramente tecnico che compositivo alquanto notevoli: “I’m Not Telling You Anything” è uno dei dischi più temerari e divertenti della scena jazz inglese, ignorarne l’esistenza è una grave offesa all’intelligenza e al buon gusto.
12/07/2024