I norvegesi Thore Warland, batteria e Kristoffer Riis, chitarra, ambedue di Stavanger, si distaccano dal trio degli Staer cavando dall’originaria “Golden Oriole” lo spirito e il nome di battaglia, per improvvisare a rotta di collo jam di media durata. Ne incidono tre per il primo omonimo “Golden Oriole” (2017), agghindandole di post-produzione elettronica, tra cui i nove minuti di “Pyrite Wink”, il loro più brutale passo cingolato.
Nel secondo omonimo di mesi dopo ci sono ancora quasi diciotto minuti di “Waxwing Slain”, fatta di due ritmi ripiegati su sé stessi, una batteria
jazzy inceppata e il mantra borbottante della chitarra, sovrastati da un allarme atomico. Dopo sei minuti la sirena si placa per diventare oasi psichedelica, ma la frenesia ritmica continua imperterrita; altri quattro minuti e il ritmo rinsavisce per farsi tribale e scheletrico (forse il momento più fascinoso). Tutto si chiude però miseramente in un sibilo fastidioso. “Až Přijde Kocour”, dodici minuti, aumenta il
mood industriale e un po’ di
suspense jazz-rock.
Da infatuazioni più o meno evidenti per
Oneida,
Liquid Liquid,
El Guapo,
Orthrelm, oltre ai grandi teutonici del passato (i
Can di “Aumgn” per primi), registrato e missato da Jørgen Træen, un anti-funk ispido ma ballabile impregnato di
groove, specie nel secondo brano. Fanno macchia la botta propulsiva, la chitarra raspa come un basso e un’idea appena accennata di composizione-suite con minimi cambi di tempo. Nei club degli anni 10 non c’è solo la trap, ma è un suono-progetto con la scadenza dello yogurt. Vinile edito da Mozart Kebab.
31/10/2018