Ho avuto spesso la sensazione che critica e pubblico, soprattutto nostrano, provino sensazioni contrastanti nei confronti di Robyn Hitchcock. Forse qualcuno non ha mai perdonato al musicista londinese l'aver messo fine prematuramente alla gloriosa stagione dei Soft Boys, altri avranno avuto difficoltà nel tener testa all'enorme quantità di dischi pubblicati, nonché alle innumerevoli ristampe rivedute e corrette e ai volumetti di outtake.
Di sicuro il carattere sfuggente e il tono distaccato e stravagante di molte sue esternazioni creative hanno alimentato quella retorica critica che lo ha spesso relegato ad abile giocoliere del pop psichedelico, capace di alternare banalità e genio. Al contrario, i più attenti non hanno mai mancato di notare nella sua lunga carriera discografica, una costante attenzione alla scrittura, a quel dettaglio armonico capace di estraniare la sua musica da una dimensione temporale ben precisa.
In verità folk, power-pop e psichedelia non avrebbero potuto trovare mani migliori nelle quali germogliare: in quarant'anni di produzione discografica la penna di Robyn Hitchcock ha partorito una serie di piccoli bignami musicali che non hanno mai perso né freschezza né personalità.
Da quando il musicista è rientrato dall'America nella sua patria Inghilterra, qualche segno di stanchezza creativa e la predilezione per la dimensione acustica sembravano averlo relegato al ruolo di perenne icona del passato, da celebrare in estemporanee esibizioni live, dove il nostro continuava a ostentare una sicurezza e una padronanza encomiabili.
C'è voluta una vecchia volpe come
Brendan Benson per tirar fuori dal cappello magico di Robyn Hitchcock un album fresco e genuino, che confermasse senza alcun indugio lo stato di salute del funambolico e imprevedibile allievo di
Syd Barrett e
Bob Dylan.
Intitolato semplicemente "Robyn Hitchcock", l'album è una vera miniera di energiche e vibranti canzoni folk-pop. L'apparente immediatezza e linearità nasconde raffinate armonie e complesse intuizioni liriche, ma quello che rende tutto ancor più grintoso e amabile è il suono della sua Fender Telecaster, autentica protagonista di quasi tutte le tracce.
Con questo nuovo progetto il musicista sembra voler rinunciare a quel fascino da
cult-artist che lo perseguita da decenni, non a caso tutto si apre con una simbolica e incisiva "I Want To Tell You About What I Want", mettendo altresì in campo una perfetta sintonia con la sua nuova band.
Nell'album si riassapora la stessa energia degli Egyptians o dei Venus 3, e a tratti anche la stessa irriverenza dei Soft Boys, tra geniali incastri di
riff micidiali e testi surreali (il power-pop di "Mad Shelley's Letterbox"), e un ricco zibaldone di trovate liriche apparentemente semplici mescolate alla maniera degli
Xtc ("Detective Mindhorn").
Il "nuovo" Robyn Hitchcock è un musicista pronto a cedere anche una fetta della sua personalità artistica, pur di condividere con la sua nuova band,
made in Nashville, i piaceri nascosti del pop psichedelico, ed ecco apparire gustose ballate con tanto di
pedal steel ("1970 In Aspic", "Sayonara Jungle") e perfino un potenziale brano apocrifo di
Johnny Cash e
George Jones (la dissoluta "I Pray When I'm Drunk").
Quel che va sottolineato è che in verità sono pochi gli artisti abili nel condensare in meno di tre minuti una quantità di emozioni sonore e letterarie come riesce al musicista inglese.
Brani come "Virginia Woolf" e "Autumn Sunglasses" sono un tal concentrato di idee che molti artisti potrebbero costruirci una carriera, diluendole giudiziosamente nel tempo.
Alla maniera di
Andy Partridge, anche Robyn Hitchcock ha conservato un profilo da genio incompreso, in egual modo è oggetto di venerazione e stima senza aver mai scalfito le classifiche di vendita, anche quando incrociò sul suo cammino i
Rem. Ancora oggi resta un amabile visionario, un artista incapace di svendere le sue funamboliche creazioni alle regole del gossip e dello scandalo, un genio dell'irriverenza più sagace, quell'irriverenza che si fa beffa perfino del sorriso e della provocazione, al punto da farci desiderare che si avveri una delle ipotesi liriche del nuovo album, ovvero un mondo dove la specie dominante saranno i gatti (a questo punto appare più chiaro il perché dell'immagine della bella copertina).
Per una volta cerchiamo di essere onesti: quanti conoscono fino in fondo tutto l'universo musicale di Robyn Hitchcock, tra tutti coloro che hanno ascoltato e collezionato tutte le possibili versioni di "
Stairway To Heaven", "
Dark Star" o "
Bohemian Rhapsody"?
Quanti possono vantare la presenza nella loro collezione (i Soft Boys non fanno numero perché spesso comprati per puro collezionismo), di almeno un pugno di suoi album?
Forse è finalmente giunto il momento per sopperire a questa enorme lacuna, utilizzando quest'ultimo gioiellino come chiave d'accesso.
06/05/2017