Meglio essere chiari da subito: la svolta "elettrica" e free form di John Martyn non mi ha mai convinto e anzi l'ho sempre vissuta, con le dovute proporzioni, similmente ai feroci detrattori del Dylan post-"Highway '61". Una volta scoperto - con colpevole ritardo - l'idilliaco compendio di "Solid Air", il mio unico obiettivo è stato quello di trovare quanti più album possibile con lo stesso sound caldo e quell'ineffabile mood agrodolce. E la discografia dello stesso Martyn mi ha aiutato poco in questo senso: fatta salva qualche traccia del precedente "Bless The Weather", andando oltre ho perso in fretta l'interesse e mi sono rivolto altrove.
Si tratta di un giudizio poco esperto e sicuramente opinabile, lo riconosco. Ma quando sono venuto a conoscenza - anche stavolta in ritardo - di quest'ultima raccolta pubblicata da Universal, ho capito subito che vi avrei trovato la risposta più completa alle mie richieste.
Il doppio cd "Head And Heart" è una selezione ragionata del più puro nettare cantautorale risalente ai primi "Island years", ossia il decennio che va dall'esordio d'ascendenza americana "London Conversation" (1967) alle sperimentazioni di "One World" (1977). Il
trait d'union è la riduzione ai minimi termini degli strumenti rigorosamente in acustico, dal solo chitarra e voce al trio con contrabbasso (il sodale Danny Thompson) e percussioni, sino agli occasionali flauto, pianoforte.
Come logico, l'attenzione va tutta a favore della voce, un timbro davvero unico nella sua ruvidezza "smussata", e delle ritmiche disinvolte dell'accompagnamento, dai soffusi pizzicati al più viscerale
strumming di marca blues.
In generale, molte delle canzoni compilate danno conto del suo romanticismo ebbro e sornione, almeno in apparenza estraneo al sottile senso tragico dei coevi
Nick Drake e
Tim Buckley. Al volgere degli anni Sessanta Martyn sembra affondare nei propri testi a tal punto da renderli sconnessi, lasciando che la voce si muova liberamente al loro interno, elidendo i confini tra le singole parole e abbandonandosi a una sorta di
trance autoerotica. Perfetta, in questo senso, la selezione dal sopracitato capolavoro "Solid Air", che oltre alle versioni originali della
title track, di "Over The Hill" e del classico assoluto "May You Never", include un
alt take dell'ipnotica e sensuale "Go Down Easy".
Ma ciascuna anima di Martyn trova il giusto spazio nel corso di oltre due ore: dal concitato
fingerpicking erede del primitivismo di
John Fahey ("Seven Black Roses", "Woodstock") alla quiete crepuscolare che fu dell'amico Nick Drake ("In The Evening", "Fine Lines"), con brevi parentesi di assoluta levità come la cover di "Singin' In The Rain" e "The Glory Of Love", saggezza popolare in salsa country-folk.
Nell'ultima parte si susseguono vari
medley e demo in veste
unplugged, come la Peel Session di "Spencer The Rover" e l'accorata dedica di "Couldn't Love You More" (da "One World", compimento della fase elettrica). Ci è poi riservato un piccolo gioiello in chiusura: Martyn siede al pianoforte e intona una cover di "Patterns In The Rain" di Foster Paterson, registrata nel 1987 durante la festa per il ventennale della Island Records.
Quella di John Martyn è stata una parabola artistica intrisa di amarezza: agli anni della passione e del fervore creativo, inquinati dall'abuso di droghe e alcol, hanno fatto seguito gli anni dell'oblio, con una produzione piuttosto regolare ma quasi del tutto ignorata da pubblico e media. Nel 2003 lo scoppio di una cisti lo ha costretto all'amputazione della gamba destra al di sotto del ginocchio, e nel gennaio del 2009 è morto in ospedale a causa di una malattia respiratoria, all'età di sessant'anni.
Una raccolta come "Head And Heart" rende giustizia al suo stile inconfondibile, espresso nella sua forma più nuda ed essenziale, ricordandoci una volta di più che, per un breve lasso di tempo, John Martyn è realmente stato uno dei più grandi
songwriter britannici.
12/09/2017