È una storia d'amore di lunga data quella fra i membri della compagine
Subsonica e il
groove. Galeotta fu la seconda metà dei Novanta, quando un
beat poderoso sul piatto era condizione indispensabile per ottenere attenzione e quando Casacci & C. prendevano in piena faccia il vento elettronico recuperando i sacri crismi del dub per dare vita a un nuovo ibrido nel pop italiano. Nel corso degli anni, accanto alle esibizioni della band, per i suoi membri iniziava anche l'esperienza diretta in
console, il metodo migliore per non perdere mai contatto con il pulsare delle frequenze basse.
Il progetto Demonology HiFi, inaugurato dal vivo ufficialmente in occasione del ClubToClub edizione 2015, è un ritorno alla centralità della ritmica officiato da Max e Ninja. Il primo in qualità di produttore/chitarrista che non ha mai disdegnato il piacere per i side project sperimentali, il secondo nelle vesti del batterista che più di ogni altro ha contribuito a innalzare la velocità e la precisione al livello di nuovi canoni estetici sotto la Mole.
Con un impianto sonoro che pesca prevalentemente nella bass music, i due confezionano una proposta a base di pattern destrutturati e tempi dispari (approcciati con naturalezza sin dai tempi di "Disco Labirinto") nella elegante mise di predicatori in missione per conto del dancefloor. Obiettivo: scacciare i demoni che ci allontanano dal groove.
Ad aiutarli nell'opera, amici del passato e del presente. Si comincia da
Bunna, il cui
jamaican flow nell'iniziale "On The Side Walks OF My Soul" prepara il terreno per un
riff techno che sembra uscire direttamente da una
outtake di "Music For The Jilted Generation" dei
Prodigy. Una partenza che non lascia spazio a fraintendimenti sulla cifra stilistica del disco, i cui riferimenti sono radicati tanto nei Novanta quanto nel futurismo (post)dubstep di artisti come Chase & Status (in "Random Gargoyle"),
Benga,
Kode9, e che segue un percorso narrativo legato al contatto con le nostre pulsioni più profonde, ben rappresentate dal cocktail di insetti ronzanti che unisce le varie tracce.
Ne approfitta
Cosmo, che ci restituisce il dialogo interiore sulla sua natura di artista nel
featuring di "Fino al giorno in cui" (singolo appena uscito), abbracciando il
mood dei due colleghi piemontesi con un'attitudine decisamente più aggressiva rispetto al suo fortunato secondo disco.
Come già detto, "Inner Vox" è un'opera pensata per il
dancefloor, ma non quello che esalta la cassa dritta. Il chiodo fisso sulle ritmiche, l'acidità dei
riff, le salite che cercano un
drop non scontato, sono tutti ingredienti fondamentali di una ricetta che si prepara al meglio sulla pista di un club (si veda l'altro singolo "Totem").
A spostare il baricentro verso ascolti più casalinghi restano le collaborazioni, come nel caso della diciannovenne Birthh (al secolo Alice Bisi) il cui talento impreziosisce la riuscitissima "Line", o
Populous, che aggiunge una inaspettata parentesi cumbia in un episodio dal titolo letterario ("Realismo magico").
La vera sintesi del disco è però racchiusa nella penultima traccia, "I miei nemici", dove il confronto tra chi predica il verbo del groove e chi diffonde contenuti biblici (nella fattispecie uno speaker di Radio Maria registrato durante la lettura del capitolo 18 dei Salmi) diventa l'esorcismo perfetto per minare l'insopportabile mancanza di fede nella danza elettronica e nel suo potere taumaturgico.
03/02/2017