Giovanissimi fiori del male sbocciano nel mefitico sottobosco del south-side di Los Angeles. Tyler, The Creator e i suoi OFWGKTA (o più semplicemente Odd Future) sono la sensazione del momento nei "blocchi" di frontiera che separano l'hip-hop più sperimentale da quello di strada. Nati e cresciuti negli stessi territori di scorribande criminali che all'inizio degli anni 90 assistettero all'ascesa del gangsta-rap, gli Odd Future hanno invaso la scena con una carica impressionante, per qualità e quantità, di uscite individuali e collettive, spesso autoprodotte o pubblicate solo sul web, stimabile attualmente attorno alla quindicina di unità. Col loro frullato ultratossico di abstract rap drenato della sua dimensione metafisica ed intellettuale e trascinato di peso in un contesto post-adolescenziale degradato e autodistruttivo, intrecciarsi collettivo di personalità e personaggi che ricordano le modalità, esteriori più che musicali, del Wu-Tang Clan e horror-core strabordante di fantasie mostruose e psicopatologiche alla Eminem, si sono guadagnati, nel breve volgere di due anni, una ribalta internazionale. Fino a raggiungere la copertina di NME e a toccare il cielo di una major, l'inglese XL, con il secondo album di Tyler, The Creator che del gruppo è il nome più noto nonché il principale produttore.
"Goblin" è un disco che esaspera e iperealizza le caratteristiche del sound di Tyler: l'atmosfera cupa, ammorbante, claustrofobica, le basi taglienti e minimali fatte di bassi tonanti che sostengono in gran parte la ritmica, fra pause e tempi irregolari, beat sparuti e uncinanti, quinte spettrali, composte da brevi frasi di piano, gelide e inquietanti, e scorci di library music, ispessite di synth sporchi e deformati. I testi sono un campionario, ricercato a bella posta, di provocazioni gratuite, immagini sgradevoli da porno-snuff internettiano, un fumetto trash su misura per una versione pezzente, sdentata e abbrutita dei "Kids" di Larry Clark. L'iniziale title track è il manifesto del suo stile: la base scarna, fra vibrazioni electro e suspence di piano, una specie di soundscape che fa da cornice al suo rappin' parlato e aggressivo, la voce bassa e impostata, un soliloquio sboccato e regressivo, parodia una seduta di psicanalisi. Di seguito "Yonkers" assesta un altro colpo da maestro coi bassi profondi e scanditi, il beat altalenante e quel grattare angosciante in sottofondo; testi e formato a parte può ricordare il primissimo Buck 65 ai tempi dei Sebutones.
15/06/2011