A seguire la titanica pubblicazione delle "Anthology" (vera delizia per gli esegeti, riesumazioni lennoniane a parte), la rimasterizzazione di "Yellow Submarine" e il vendutissimo Greatest hits "1", l'uscita natalizia del 2003 sotto l'imperituro marchio Beatles si chiama "Let It Be… Naked".
Anzitutto è bene precisare che quest'album non è una riedizione del suo quasi omonimo, uscito nell'aprile del 1970, a gruppo ormai sciolto. Nelle intenzioni dei superstiti
McCartney e Starr (più del primo, probabilmente) questo disco vuole essere l'edizione definitiva del materiale registrato nelle famigerate session del gennaio 1969 per l'abortito progetto "Get Back". La vicenda è arcinota e non è il caso di ricordarla; basti dire che i dissapori interni al gruppo, le circostanze nefaste in cui è stato concepito e le infelici dichiarazioni successive all'uscita del "Let It Be" originale (provocate soprattutto dalla discussa produzione di Phil Spector) hanno originato un'aura di negatività intorno all'intero progetto, che è sempre stato considerato uno dei momenti più infelici e meno riusciti della carriera del quartetto, nonché l'indegno epilogo di una sfolgorante leggenda.
A trentaquattro anni di distanza, Paul McCartney, promotore e ideatore del progetto originario, si prende la sua rivincita. Si potrebbe parlare infinitamente dell'opportunità o meno di questa mossa. E' fin troppo facile malignare, e analizzare il risultato dell'operazione "Let It Be... Naked" senza pregiudizi è impresa non da poco. Da un lato c'è il sogno non realizzato dei fan più accaniti di vedere finalmente pubblicato il leggendario "Get Back" originale compilato dal tecnico Glyn Johns (anche se probabilmente era talmente incompiuto che non meritava davvero di essere pubblicato), dall'altro c'è lo scetticismo di chi si chiede che senso abbia raschiare il fondo del barile "ripubblicando" un album contenente canzoni più che note, già pubblicate più di trenta anni fa. Nel mezzo c'è questo "Let It Be... Naked", che non è né il master originale di Glyn Johns, né, come molti erroneamente credono, la versione
de-spectorizzata dell'album del 1970. E' vero, i tanto discussi interventi orchestrali dell'eccentrico produttore americano sono scomparsi (anche se sono rimasti un paio di residui del "taglia e cuci" spectoriano rispetto alle versioni "grezze" di Johns), così come sono scomparse le sovraincisioni effettuate dai Beatles stessi prima della pubblicazione. Ma sono anche scomparse le "studio chat" che avevano caratterizzato il progetto originario (supplisce questa mancanza un bonus cd di venti minuti opportunamente chiamato "Fly On The Wall", a uso e consumo dei fan più "guardoni").
La
tracklist è stata significativamente modificata, sia nell'ordine (simbolica l'apertura con "Get Back" e la chiusura con "Let it be", l'inizio e la fine di un sogno) che nei contenuti (tagliate fuori le incompiute "Dig it " e "Maggie Mae" e reinserita "Don't Let Me Down", rimasta fuori dalla scaletta del 1970). Per alcune canzoni ("Don't Let Me Down", "The Long And Winding Road" e "Let It Be") sono state scelte delle takes differenti da quelle dei master di trentaquattro anni fa. E il tutto è stato nuovamente editato, pulito e mixato. In altre parole, il materiale originario delle session del 1969 è stato ri-prodotto e ri-pubblicato. Per questo "Let It Be… Naked" non è (solo) una mossa commerciale, ma è un'uscita degna di interesse. E', a tutti gli effetti, il nuovo disco dei
Beatles. E, in questa prospettiva, può rivelarsi un ascolto tanto interessante quanto piacevole.
Canzoni nate sotto una cattiva stella acquistano una nuova dimensione, in virtù di un trattamento che ha molto giovato al suono (molto più caldo e allo stesso tempo "sporco", come era nelle intenzioni originarie). Messi da parte i "trucchi" da studio, ecco i Beatles "senza mutande" (nella definizione dello stesso Lennon): quattro musicisti, coadiuvati da un tastierista aggiunto, l'eccellente Billy Preston, che suonano un rock "revivalista", memori dei loro ascolti giovanili e dei tempi in cui si guadagnavano il pane suonando nelle peggiori bettole. Se l'album fosse uscito in questa versione trentaquattro anni fa, la critica l'avrebbe chiamato il disco "americano" dei Beatles. Assenti gli schizofrenici cambiamenti di umore (e colore) del doppio "The Beatles", siamo in presenza di un classico alternarsi di rock e ballate; senza gli interventi orchestrali il suono è sicuramente più omogeneo e, laddove non arriva la tecnica, supplisce il cuore e il genuino spirito rock'n'roll (memorabilmente sintetizzato in "I've Got A Feeling", definitiva sinergia compositiva del duo Lennon/McCartney).
Delle undici canzoni, tutte già edite in altre forme, almeno cinque sono considerate classici del gruppo; degne di nota sono le nuove versioni di "Don't Let Me Down" con un'inedita armonia a tre voci; "Across The Universe" (originariamente un riempitivo!), qui in una spoglia versione acustica, ornata soltanto da un sottofondo di bordone dovuto al solito sitar di
Harrison e caratterizzata da riverberi che la rendono, se possibile, ancora più sognante; la title track, con organo e basso più in evidenza, un diverso assolo di chitarra e un'interpretazione vocale decisamente più sentita e "soul". Vera perla del disco è "The Long And Winding Road", il pomo della discordia dopo la pubblicazione del "Let It Be" del 1970 e vittima illustre del trattamento di Spector, che l'aveva trasfigurata in una languida e pomposa ninnananna. Questa nuova versione (anche se, a onor del vero, un'altra take, seppur frammentaria, era stata pubblicata su "Anthology 3") è — forse - il capitolo finale della triste polemica che accompagnò le critiche fasi dello scioglimento del gruppo. Letteralmente denudata, appena accarezzata dagli altri strumenti, la canzone scorre indolente e si fa apprezzare in tutto il suo originario lirismo colmo di rimpianto, tornando a essere un solitario canto malinconico, com'era nelle intenzioni del suo autore McCartney. E anche se è quantomeno curioso che l'ex Beatle in tutti questi anni abbia riproposto dal vivo l'arrangiamento di Spector, questa versione di "The Long And Winding Road" è di una bellezza disarmante, fuori dal tempo.
Dimenticate le inevitabili polemiche che seguono ogni nuova uscita dei Beatles, "Let It Be... Naked" è un disco da ascoltare a mente serena. Se l'originale del 1970 riportava drasticamente alla realtà di un sogno infranto, ascoltando questo disco si ha come la fanciullesca impressione che questo sogno non sia mai finito. Fuori la Storia ("Get Back", "Let it Be"), dentro il Mito ("Let It Be… Naked").
26/10/2006