I Flying Lizards furono uno dei più originali gruppi new wave inglesi sorti all'alba degli anni Ottanta. Furono tra quelli che seppero meglio raccogliere le intuizioni di luminari come Brian Eno e che evitarono accuratamente di scialacquare quelle fondamentali idee in una facile musichetta di consumo. Formati a Londra nel 1978 dal genialoide irlandese David Cunningham (un compositore e tastierista autodidatta, che si trasferì a Londra per studiare arte), riuscirono senza troppe difficoltà a strappare un contratto discografico alla Virgin, da sempre una delle etichette maggiori (all'epoca, ancora non si chiamavano "major") che aveva mostrato un occhio di riguardo per tutti i nuovi fermenti musicali dell'epoca: Sex Pistols, Pil, Rip-Rig & Panic, Magazine etc..
Cunningham, in realtà, aveva già varato una sua piccola, ma intraprendente
label, la Piano Records (l'etichetta che pubblicò capolavori come il primo album dei
This Heat, ma anche dischi di Steve Beresford e di
Michael Nyman), per la quale aveva inciso il suo primo album solista, "Grey Scale", uscito nel 1977. Opera coraggiosa, sperimentale e concettuale allo stesso tempo, trasponeva le idee di Cornelius Cardew in una sorta di minimalismo da camera per solo pianoforte e gesti casuali sullo strumento. I Flying Lizards, invece, erano avulsi da ogni velleità di avanguardismo contemporaneo. Erano, a tutti gli effetti, un gruppo di new wave di ascendenza elettronica, assolutamente
sui generis, però. Coadiuvato nel primo album, "The Flying Lizards" (Virgin 1980) dal validissimo pianista jazz inglese Steve Beresford, da David Toop (un veterano dell'avanguardia inglese, amico di Brian Eno e oggi critico per la prestigiosa rivista "The Wire") e dalle
vocalist Vivien Goldman e Deborah Evans-Stickens (oggi anche lei giornalista), Cunningham diede quindi sfogo alle sue libidini "rock".
L'uso delle tastiere ricorda un po' quello del Brian Eno di "Another Green World" (Island, 1975), futurista e vagamente decadente al tempo stesso. L'album ebbe una certa risonanza internazionale (in particolare in Europa) per via del buon successo di vendite del singolo "Money", uscito l'anno precedente, nel 1979. Si tratta di una cover "cubista" di un celebre
hit di Barrett Strong del 1960, epoca della prima Motown Records. Il pezzo originale (un classico rhythm'n'blues) fu talmente stravolto dalle manipolazioni di studio (sembra di ascoltare le sperimentazioni dub che Adrian Sherwood operò per l'album "
Learning To Cope With Cowardice" di Mark Stewart del 1983) da renderlo irriconoscibile e assolutamente nuovo, inedito.
Tutto il resto dell'album è uno scrigno di tesori e di sorprese, ad ogni modo. Il lato A si apre con una bizzarra cover di un brano di Bertold Brecht e Kurt Weill, "Mandelay Song", che qui suona come un incrocio tra l'haiku progressivo degli After Dinner e i vocalizzi kitsch di Klaus Nomi. In "Her Story" si assiste a un innesto tra il dub di Lee Perry e le Raincoats. Questo splendido gruppo tutto al femminile (Raincoats) è anche la principale fonte di ispirazione per la conclusiva "The Window", che non avrebbe affatto sfigurato su "Odyshape" (Rough Trade 1981), il secondo capolavoro di Ana Da Silva e compagne.
Il brioso beat di "Tv" è costantemente disseminato di contrappunti dissonanti e di arrangiamenti accortamente demenziali. "Russia" sembra una versione più leggera del punk-funk del
Pop Group, con una frase melodica ispirata niente meno che a Shostakovich. "Summertime Blues" è un'altra bizzarra cover, di un classico rock'n'roll di Eddie Cochran: melodia e struttura ridotte all'osso, condotte solo da pochi
riff di chitarra, pianoforte e un battito di percussione che porta a un finale cacofonico.
Un unico blocco di suono, ma dalla ritmica cadenzata, caratterizza "Flood", mentre la cupa melodia notturna di "Trouble" rimanda allo stile dei coevi californiani Factrix. John Cage sarebbe forse stato fiero di un pezzo rock come "Events During Flood". Semmai il grande (non) compositore americano si fosse dato alla musica di consumo, il risultato non sarebbe stato dissimile da quello ottenuto dai Flying Lizards.
Il successo di pubblico fu discreto, ma ancora maggiore fu quello ottenuto presso la critica, tanto che Cunningham, proseguendo in proprio la sua attività di
producer per la Piano, pubblicò l'anno successivo un secondo e altrettanto valido capitolo dei Flying Lizards, "Fouth Wall", a cui parteciparono, oltre al fido Steve Beresford, anche intellettuali del rock come
Robert Fripp, il sassofonista americano Peter Gordon (della LOLO) e Michael Nyman (di cui Cunningham divenne il produttore di fiducia per tutti gli anni Ottanta).
Una recente ristampa, uscita per la RPM Retrodisc/Cherry Red (doppio cd, 2010, distribuito da Goodfellas), unisce i due primi album dei Flying Lizards più tutti i 12" e singoli. Tra le
bonus track accluse al primo album, si fa notare particolarmente "All Guitars" (1978), per scorticature di chitarra su di una melodia massimalista di tastiere. Le altre
bonus sono versioni dub dei cavalli di battaglia inclusi nell'album, tra cui quelle famose cover che fecero la loro fortuna.
L'influenza lasciata ai posteri dai Flying Lizards si può riscontrare, per esempio, in certi artisti della no-wave (penso alla Skin Graft, con gente pazzoide come Zeek Sheck o Mr. Quintron). Rimane soprattutto la sensazione di un grande
ensemble di rock elettronico colto e intellettuale, ma certamente comunicativo e non cerebrale, solo in minima parte legato al meta-rock di Eno e alla sua ambient-music.
07/08/2011