Tame Impala

Tame Impala

Modernismi psych dall'emisfero australe

Dopo il botto di “Innerspeaker” e “Lonerism”, Kevin Parker è diventato il più importante sciamano psichedelico dell’emisfero australe. Con “Currents” dimostra quanto sia importante testare nuove strade piuttosto che ripetersi all’infinito. Ecco la storia del novello re-mida dello psych-pop mondiale e della sua creatura

di Claudio Lancia

Kevin Parker, il novello re-mida dello psych-pop mondiale, nasce a Sydney (Australia) il 20 gennaio del 1986 da genitori provenienti dal Sudafrica (il papà nativo dello Zimbabwe, la mamma della Repubblica Sudafricana), divorziati quando il figlio aveva appena tre anni. Cresciuto in quel di Perth, Kevin sviluppò presto una forte passione per la musica, e in età adolescenziale già era in grado di suonare batteria e chitarra, dilettandosi in primordiali esperimenti domestici lo-fi, registrando i propri spunti sul multi-track casalingo.
A 13 anni iniziò a strimpellare con l’amico Dominic Simper, approfondendo la conoscenza (e l’esecuzione) della musica psichedelica degli anni 60 e 70. A 18 anni si divideva fra un lavoro impiegatizio e i primi passi significativi in piccole band locali.

I primi semi dei futuri Tame Impala furono gettati nel 2005, quando assieme a Simper e a Luke Epstein (batterista, successivamente sostituito da Sam Devenport) formò i Dee Dee Dums. Nel 2007 con l’ingresso alla batteria di Jay Watson la band prese la denominazione attuale, di lì a poco diffuse un Ep omonimo, identificato dai fan con il titolo H.I.T.S. 003, e firmò un contratto per la label indipendente Modular Recordings.
In realtà Tame Impala fu il nome con il quale si identificavano i lavori home made del solo Parker, una sorta di one-man-band; gli altri due musicisti servivano per consentirgli di eseguire le canzoni dal vivo.

Tame Impala, per molti noto con il titolo “Antares Mira Sun”, fu l’Ep che a ottobre 2008 rappresentò la prima emissione per Modular, capace di raggiungere il primo posto delle chart indipendenti australiane, ottenendo numerosi passaggi radiofonici. A tratti ancora acerbo, Tame Impala conteneva in forma primordiale tutte le coordinate musicali che avrebbero caratterizzato il futuro sound del gruppo.
Le sei tracce incluse vennero selezionate da una base di circa venti pezzi registrati da Parker negli ultimi cinque anni. Tre divennero anche dei singoli, fra le quali una versione di “Desire Be Desire Go”, successivamente ripresa nell’album d’esordio.
I primi tour, con supporto a band importanti quali Muse, Black Keys, Kasabian, Mars Volta, MGMT e Yeasayer e il singolo “Sundown Syndrome” (2009, avente come b-side “Remember Me”, la cover di una dance hit portata al successo dodici anni prima dal dj inglese Blue Boy), generarono una certa curiosità per la pubblicazione del primo album.

Innerspeaker arrivò il 21 maggio 2010 e venne accolto da pareri unanimamente positivi. Quello che la band allestì fu un avvolgente revival psichedelico intriso di pop, che non intendeva però limitarsi a citare e far rivivere il passato, bensì si proponeva di gettare i semi per nuovi progressi futuri del genere in questione. L’obiettivo era contaminare gli aromi dell’epoca hippie con le moderne tecnologie, miscelando pop sperimentale di matrice beatlesiana, catarsi pinkfloydiane, vaghi echi pre-prog ed elettronica moderna. Dentro ci sono il post-stoner cosmico dei Dead Meadow, ma anche l’astuto riciclaggio culturale di forme e strutture della scena psych degli anni 60 britannica più defilata (si pensi a eroi “minori” quali Pink Fairies, Pretty Things e Creation).
Godibile mimetismo musicale, imprevedibilità nella scrittura e cura certosina dei dettagli sono alcuni fra gli ingredienti di questa tanto fantasiosa quanto labirintica vertigine, nella quale melodie oniriche vengono diluite in suoni mistici dai contorni liquidi e oscillanti, dove chitarre blandamente heavy (e non è un ossimoro) si impastano con la carezza metafisica di un meccanismo ritmico di scuola lateralmente krauta. I ragazzi si impongono come gli ultimi alfieri della scuola Aussie e, nonostante la predisposizione di ritualistiche visioni dalle magiche risonanze, non smarriscono mai la barra della compostezza formale: non rinunciano alla precisione e alla saldezza architettonica nemmeno quando si lasciano trascinare dalla forza centrifuga della jam libera.
Fra cavalcate lisergiche (“Lucidity”, “The Bold Arrow Of Time”, entrambe dai tratti vagamente hard-rock), momenti trasognati (“Why Won’t You Make Up Your Mind?”), trip strumentali (“Jeremy’s Storm”), sprazzi pinkfloydiani (“Runway, Houses, City, Couds” è forse il miglior riassunto dell’intero disco), raga circolari che aprono le porte della percezione (“It Isn’t Meant To Me”), riesumazioni lennoniane colme di visioni in Lsd (“Solitude Bliss”, “Expectiation”), Innerspeaker diventa il nuovo punto di riferimento della scena pop psichedelica mondiale. Anche quando il formato-canzone si mostra apparentemente “normale”, ecco nel bel mezzo stagliarsi intermezzi rumoristico-ambientali “di disturbo” a rendere il tutto sempre personale e imprevedibile, e le strizzatine d’occhio a certa seventies disco (“Alter Ego”) anticipano da subito alcuni movimenti che Parker imprimerà alla propria creatura in maniera più decisa qualche anno più tardi.
Per Rolling Stone, Innerspeaker è album dell’anno, per tutti gli altri è il disco con la forza di catapultare l’ascoltatore nel bel mezzo dell’estate del 1967, meglio di quanto riesca a fare qualsiasi altra band coeva.

Con l’acquisto di Innerspeaker, per un limitato periodo di tempo, si poteva accedere all’ascolto di una ripresa live eseguita a maggio 2009 al Corner Hall di Melbourne: Live At The Corner. Il bonus dal vivo conta quattro tracce per complessivi 25 minuti, versioni live di canzoni già edite, ma eseguite con suoni e strutture diverse, sotto forma di jam improvvisate. La formazione è composta da Parker (voce e chitarre), Jay Watson alla batteria, Dominic Simper alle chitarre e ai synth, Nick Allbrook al basso.

A fine 2011 Kevin Parker è già in fase di missaggio dei brani che daranno vita al secondo capitolo della saga, l’acclamato Lonerism, in store il 5 ottobre 2012. Le registrazioni sono state improvvisate nei due anni trascorsi in tour, riunendo un pattern di batteria ripreso a New York, una trama di chitarra a Vienna, una parte di voce sull’aereo fra Singapore e Londra, e così via. Per questo motivo l’album assume a tratti il carattere di raccolta provvisoria di appunti di viaggio (“She Just Won’t Believe Me”, ad esempio, pare una canzone volontariamente non terminata), pur conservando un’invidiabile uniformità di suono e di intenti. Parker canta e suona tutti gli strumenti (da qui probabilmente il titolo prescelto), tranne un paio di contributi forniti da Jay Watson al piano e al synth.
Lonerism trasforma in solido e definitivo il discorso iniziato con il disco precedente, e rende tangibile una delle migliori espressioni di psych-pop guidato dalle chitarre (spesso fuzzate) dei nostri tempi. Ad anticipare il tutto provvede il singolo “Elephant”, il brano più hard del lotto, in pratica una versione australe della rocciosità firmata Black Mountain. Il punto di riferimento più marcato dell’intero lavoro restano però i Beatles più in acido, quelli in sapore di India, quelli lennoniani di “Lucy In The Sky With Diamonds” e “Strawberry Fields Forever”, ma riproposti con spirito indie contemporaneo.
Dentro Lonerism appaiono come per magia luccicanti perle pop iper-contagiose (“Apocalypse Dreams”, “Why Won’t They Talk To Me?”, “Feels Like We Only Go Backwards”), le quali hanno la forza di ridefinire il concetto di psichedelia moderna, ponendo i Tame Impala come gruppo di riferimento assoluto a livello mondiale, sicuramente il più importante e influente dell’emisfero australe. Un disco solare e musicalmente positivo con alcune code strumentali irresistibili (“Keep On Lying”), geniali stralci acidissimi (“Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control”) e un epilogo languido, giocato sulle note di un pianoforte (“Sun’s Coming Up”, sempre dalle parti di Lennon) sporcato ad arte da rumorismi lo-fi.

Lonerism è nominato disco dell’anno da Nme e Rolling Stone Australia, si piazza bene nelle classifiche di altri magazine di tendenza, quali Mojo, Spin e Uncut, si aggiudica ben tre A.R.I.A. (i Grammy australiani) e una prestigiosa nomination ai Grammy Awards nella categoria “Best Alternative Music Album”.
E’ il disco che consolida la fama dei Tame Impala a livello internazionale e fa di Kevin Parker un ricercato collaboratore. Fra i dischi nei quali mette lo zampino merita di essere ricordato l’omonimo esordio firmato Melody’s Echo Chamber, progetto della giovane francese Melody Prochet, fidanzatina del nostro secondo i ben informati, con dentro l’accattivante singolo “I Follow You”. Parker produce e ci mette le chitarre, per un prodotto che assume senz’altro le sue sembianze sonore, ma volgendosi in maniera ancor più marcata verso certo pop solare e sbarazzino.
Va poi citata almeno la produzione di tre dischi degli apprezzati Pond, side project di Jay Watson e Nick Allbrook, entrambi collaboratori più o meno stabili della creatura Tame Impala:"Beard, Wives, Denim" (2012), "Hobo Rocket" (2013) e "Man It Feels Like Space Again" (2015).

Il tour a supporto di Lonerism intanto procede a gonfie vele, Kevin viene riconosciuto come il nuovo sciamano della moderna psichedelia, un nerd dei giorni nostri che è riuscito a uscire dalla cameretta e a imprimere un timbro particolare alle proprie composizioni, che suonano assolutamente riconoscibili, anche quando vengono suonate da altri. Il personaggio diventa un’icona, grazie anche al fatto che Parker si presenta sul palco sempre scalzo e viene spesso associato al mondo delle droghe.
Ad aprile 2014 la Modular Recordings pubblica il resoconto dello show tenuto il 10 ottobre dell’anno precedente al Riviera Theatre di Chicago. La line-up è composta dagli ormai storici Parker, Simper e Watson (ora passato ai synth), più la sezione ritmica formata da Cam Avery (basso) e Julian Barbagallo (batteria). Il live si intitola semplicemente Live Versions.

A ottobre 2013 viene pubblicato uno split Ep condiviso con i Flaming Lips, Peace And Paranoia Tour, nel quale ciascuna delle due formazioni reinterpreta due brani dell’altra. I Tame Impala rileggono con la giusta personalità “Are You A Hypnotist?” e “Silver Trembling Hands”, mentre i Flaming Lips coverizzano con grande rispetto l’arrembante “Elephant” e diluiscono ancor di più la già lisergica “Runway, Houses, City , Clouds”.
La collaborazione iniziò in realtà già l’anno precedente, quando i Tame Impala parteciparono alle registrazioni del brano “Children Of The Moon” contenuto in "The Flaming Lips And Heady Fwends", progettò attraverso il quale il gruppo di Wayne Coyne in ogni canzone ospitò amici musicisti.

La curiosità intorno al fatidico terzo album della band, quello che di solito è riconosciuto come il disco della verità, si infiammò quando a inizio 2015 venne diffusa “Let It Happen”, una nuova composizione che sarebbe poi finita all’interno del nuovo lavoro. Le reazioni furono contrastanti: molti vecchi fan furono sorpresi negativamente, altri plaudirono per la scelta di svoltare in direzione decisamente electro.
“Let It Happen” non è un abbaglio, intende fornire profezie sulle nuove direttrici stilistiche del gruppo, dentro ha tutti i germi che caratterizzeranno la nuova fatica della formazione australiana. Parte come un midtempo funk Jamiroquai-style andandosi poi ad adagiare su mood ripetitivi profondamente balearici, materiale utile per il dancefloor, un trendy-pop perfetto per chi adora i tramonti di Café del Mar, ma di difficile comprensione per tutti coloro che da questi solchi si aspettavano le spiagge californiane della summer of love, non certo quelle ibizenche (ma c’è davvero tutta questa differenza?).

La nuova strada tracciata dai Tame Impala si concretizza ufficialmente a luglio 2015 quando viene diffuso Currents, attraverso il quale Parker e compagnia confermano l’intenzione di testare nuove traiettorie musicali anziché ripetersi all’infinito. L’innovativo progetto di light psych-rock immaginato dai Tame Impala viene ora realizzato sostituendo i mezzi fin qui utilizzati: i synth si impossessano del centro della scena, relegando sullo sfondo le chitarre, in una posizione secondaria rispetto a tutto il resto. Una svolta che ricorda in parte quanto intentato dai Radiohead da "Ok Computer" e "Kid A" in poi con risultati strabilianti, oppure in tempi più recenti (tanto per citare i soliti esempi-scuola) dagli Arcade Fire di "Reflektor" con esiti magari meno riusciti ma senz’altro coraggiosi. E’ al contempo lo stesso passo compiuto poche settimane prima dagli Unknown Mortal Orchestra, sempre al terzo lavoro ("Multi-Love"), sempre dalle spiagge del continente Oceania. Il proliferare di impressioni positive in rete (addirittura 9.3 su Pitchfork, roba da disco dell’anno!) circa lo zig-zag della band sembra però più un voler omaggiare a tutti i costi l’artista Parker piuttosto che il frutto di analisi imparziali sui contenuti dell’album. La percezione a freddo è piuttosto che Currents sia un esperimento riuscito a metà, nel quale si comprendono bene le intenzioni dell’autore (realizzare una personale visione electro-disco-pop, mantenendo continuità nella discontinuità), ma dove la qualità della scrittura non riesce a dimostrarsi sempre all’altezza della fama e dell’aura che circonda la figura del buon Kevin.
Alcune idee sono molto buone (“Nangs”, “Gossip”) ma si interrompono inspiegabilmente troppo presto, restando poco più che embrioni di canzoni, altre soluzioni risultano invece sì piacevoli, ma non completamente riuscite (“Past Life”, “The Moment”), con l’ulteriore aggravante che nella seconda metà il disco tende a trascinarsi un po’ (“Reality In Motion”, “Love/Paranoia”), perdendo di mordente. Ovviamente ci sono anche momenti che funzionano, nei quali la mission di lasciare sullo sfondo la psichedelia hippy dei Sixties per immergersi in certa disco del decennio successivo produce il funk della contagiosa “The Less I Know The Better” (una delle vette della selezione), il pure pop di “Disciples” e il "soul" di “’Cause I’m A Man”, con le sue atmosfere ovattate da camera da letto. Per il resto, i Tame Impala danno l’impressione di vivacchiare intorno a un’architettura di fondo che Parker intende difendere strenuamente, che produce slanci anche molto gradevoli (le ballatone “Yes I’m Changing” e “New Person, Same Old Mistakes” sono furbette, ma non possono certo considerarsi mal riuscite), ma che non riescono a partorire il pezzone in grado di dare la svolta alla tracklist: ad esempio, l’epico incipit di “Eventually” fa ben sperare, ma si perde in un imbarazzante anonimato nel giro di pochi secondi. A conti fatti i primi due album della band sembrano persino essere più avventurosi, se confrontati a certi momenti nei quali Currents pare oggettivamente posticcio e non completamente a fuoco.

Nonostante alcune perplessità Currents riscuote comunque un successo commerciale di gran lunga superiore ai lavori precedenti, conquistando per la prima volta il primo posto nelle classifiche di vendita fuori dall’Australia (in Olanda), e piazzandosi nel giro di pochi giorni al terzo posto nelle chart inglesi e al quarto in quelle degli Stati Uniti, nella Top 200 di Billboard. Nei quattro anni successivi Currents sarà portato in tour in giro per il mondo, e i Tame Impala saranno chiamati a ricoprire il ruolo di headliner in tutti i principali Festival internazionali, dal Coachella, al Primavera Sound al Mad Cool.
Nei ritagli di tempo Parker collabora con numerosi artisti importanti, fra i quali Lady Gaga e Mark Ronson in occasione del singolo "Perfect Illusion". Da segnalare anche le collaborazioni con ZHU e Theophilus London.

Nel 2019 arrivano finalmente due nuove canzoni, "Patience" e "Borderline", e a ottobre viene diffusa la notizia che a inizio 2020 sarà pubblicato The Slow Rush, il quarto album della band. Kevin Parker realizza un furbo mix fra la psichedelia light dei primi due dischi e le derive groovy del terzo. Compone dodici tracce soft-rock che perseverano nella mediazione fra fumi lisergici e pop music, per consolidare le simpatie tanto dei nostalgici dell’epoca hippy quanto dei giovani rampanti con la fissa per gli spritz da consumare in locali total white. Accontentare ascoltatori molto diversi fra loro: un’impresa riuscita, ma tutt’altro che semplice.
Il tema centrale di The Slow Rush è l’inesorabilità dello scorrere del tempo, ben espresso da eloquenti titoli quali “One More Year”, “Lost In Yesterday” e “Tomorrow’s Dust”, che trasferisce in territori lounge un arpeggio molto “Weird Fishes”. E’ un lavoro intriso di rimpianti (le riflessioni sul complesso rapporto col padre narrate in “Posthumous Forgiveness”), romanticismi (trainati dal recente matrimonio) e nostalgie musicali per il passato, attraverso la materializzazione di un’abile centrifuga di numerose influenze, provenienti prevalentemente dagli anni 70, con l’aggiunta di qualche ambiziosa coda strumentale e l’uso frequente del falsetto.
The Slow Rush si muove con scioltezza dalla seventies disco di “Is It True” al piano molto Supertramp style di “It Might Be Time”, fino al funk rivisitato attraverso la lente dei Daft Punk di “Glimmer”. Tutto scritto, arrangiato ed eseguito dal solo Parker, che continua con fierezza ad esporre il vessillo dell’eroe solitario. Ma il sogno di Kevin è trasformare il mondo in una grande discoteca ultra colorata ed iper pop, peraltro riuscendoci perfettamente in “Borderline”. Forse perché dentro una discoteca affollata ci si riesce a nascondere molto più facilmente.

A questo punto della sua carriera, Kevin Parker è considerato da molti come un talento in via di precoce ridimensionamento, mentre altri continuano a ritenerlo un avanguardista, un visionario psichedelico dei nostri giorni con la fissa per l’elettronica. Forse la verità, come spesso accade, sta nel mezzo: i Tame Impala oggi sono un buon gruppo in grado di realizzare gradevoli dischi di moderno pop psichedelico. I loro lavori vanno ascoltati senza troppe pretese, ricercando la leggerezza e il disimpegno che intendono trasmettere. Se riusciranno a divertirci, il principale obiettivo della band potrà ritenersi raggiunto in pieno.

Tame Impala

Discografia

H.I.T.S. 003(Ep,Hole In The Sky, 2008)5,5
Tame Impala(Ep,Modular, 2009)5,5
Sundown Syndrome (non album single, Modular, 2009)6,5
Innerspeaker(Modular, 2010)7,5
Live At The Corner(Bonus Live,Modular, 2010)6,5
Lonerism(Modular, 2012)7,5
Peace And Paranoia Tour(Split Epwith Flaming Lips,Lovely Sort Of Death, 2013)7
Live Versions(Live, Modular, 2014)6,5
Currents (Modular, 2015)6
The Slow Rush (Modular, 2020)6,5
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Solitude Is Bliss 
(videoclip da Innerspeaker, 2010)
Elephant 
(videoclip da Lonerism, 2012)
'Cause I'm A Man
(videoclip da Currents, 2015)
Lost In Yesterday(videoclip da The Slow Rush, 2020)

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