Creedence Clearwater Revival

Creedence Clearwater Revival

La grammatica base del rock

I californiani Creedence Clearwater Revival sono l'abc del rock, quell minimo comun denominatore a partire dal quale, in un senso o in un altro, se ne possono definire tutti i sottogeneri. Storia e dischi della band guidata da John Fogerty

di Tommaso Franci, Valeria Ferro, Ariel Bertoldo

I Creedence Clearwater Revival sono forse il più importante gruppo rock di tutti i tempi, benché, tra i grandi, siano forse i più apparentemente ordinari. Nella piramide del rock, i Creedence Clearwater Revival si trovano infatti alla base, in quel quel minimo comun denominatore a partire dal quale, in un senso o in un altro, si possono definire tutti i sottogeneri che si vuole. A un estraneo che chiedesse un esempio significativo di rock non potremmo, pertanto, che presentare un brano dei Creedence Clearwater Revival. 
Quanto sia importante la formalità nell'operazione dei Creedence Clearwater Revival, lo dimostrano le loro cover. Come la storia ci insegna, molte avanguardie storiche - in arte e musica - si sono sviluppate paradossalmente proprio dal recupero dei modelli legati al passato e alla tradizione. Così i Creedence Clearwater Revival facevano canzoni o riprendevano canzoni dal country-rock n'roll di vent'anni prima; il punto è che le suonavano in modo completamente diverso. I gruppi proto-rock anni 60 facevano cover non solo per "imparare" - o perché ancora, all'epoca, non era certo scontato che il compositore e l'esecutore fossero la stessa persona - ma anche e soprattutto perché la loro era un'attività essenzialmente formale: si doveva abbandonare il continuum blues per il sincopato rock, si doveva trovare - conseguenza e mezzo di questo abbandono - la perfetta sinergia tra chitarra, basso e batteria.

Per ripercorrere la storia dei Creedence Clearwater Revival bisogna ricordare innanzitutto la figura di Ellis McDaniel, più noto come Bo Diddley. Costui è una delle personalità più importanti della storia della musica. Formatosi a Chicago, come il padre del rock n'roll Chuck Berry, è la prova tangibile di come il rock n'roll sia nato dal blues elettrico dei neri di Chicago - qui approdato dal Texas del leggendario Blind Lemon Jefferson - degli anni 40 (Willie Dixon, Howlin' Wolf, Muddy Waters, tutti grandissimi chitarristi e compositori nati a inizio secolo, a cui va aggiunto Sonny Boy Williamson, che suonava l'altro strumento-base del blues, l'armonica a bocca). È importante notare come tutti questi artisti padri del rock n'roll prima e del rock poi siano stati neri; quando tutti i figli loro saranno bianchi. Mentre Chuck Berry si affrancò dal blues facendo appunto il rock n'roll, Diddley continuò sulla strada del blues aggiungendo ritmo, ma mantenendo un tono medio, sia alla voce che alla chitarra. È quel medio che, dopo la sfuriata rock n'roll, si rivelerà la base del rock a cui non resterà che aggiungervi i due elementi portanti del rock n'roll: l'assolo bruciante alla chitarra e l'urlo iconoclasta.

I Creedence Clearwater Revival consistono nell'innalzamento degli accordi e volumi di Diddley a quelli di Berry e nel contemporaneo ripiegamento di tutti gli eccessi del secondo a mezzo del tono-medio compassato del primo. In altri termini: Diddley fornì al rock la sezione ritmica; Berry la chitarra. Diddley dette i suoi seminali e numerosi capolavori (almeno una ventina, tra cui impressionanti free-speaking) tra il '55 ed il '57. Da questi né gli artisti blues moderni (Rolling Stones, Eric Clapton), né poi i nascenti rocker - ed ecco i Creedence Clearwater Revival - potranno prescindere. Perché Diddley, nel suo medio, era utilizzabile tanto in senso reazionario (blues) quanto progressista (rock).


Imparata questa lezione, dal 1968 al 1970 - in tre anni - i Creedence Clearwater Revival faranno cinque album. Il sesto, nel 1972, può considerarsi anche un album estrinseco. Come pochi nella storia, il gruppo manterrà sempre una medesima line up: il leader e compositore John Fogerty (1945) al canto e alla chitarra solista, gli straordinari comprimari - e coetanei - Doug Clifford (alla batteria) e Stu Cook (al basso) e il fratello di John, Tom, alla chitarra ritmica - il più vecchio di tutti (che nel '68 aveva però solo 25 anni).
Nel 1968 in California - che proprio in quest'epoca getta le basi per divenire il centro più ricco, popoloso e moderno del mondo - siamo in piena epoca hippie e psichedelica. San Francisco, con l'acid-rock di Jefferson Airplane e Grateful Dead, è l'epicentro del movimento. Musicalmente, per quest'epoca, si parla, parallelamente alla rivoluzione psichedelica, di un reazionario revival, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. In realtà, si tratta di facce della medesima medaglia. E più che di rottura è meglio parlare di continuità. Se, a certi livelli, i nuovi anni 70 - vedi il cantautorato e l'hard-rock - significheranno un ritorno all'immediatezza musicale dopo gli eccessi di fine 60 (Velvet Underground, Red Crayola, Frank Zappa ecc.), ad altri livelli ciò comporterà un gap in buona misura incolmabile con la nuova musica sofisticata della medesima epoca: l'evoluzione del progressive, dell'elettronica, di Canterbury. Se a fine 60 si hanno ibridi tra rock e non-rock, a inizio 70 è facile distinguere ciò che è rock da ciò che non lo è (come la kosmische musik).

Da una parte la semplificazione, quindi, dall'altra l'esasperazione. I Creedence Clearwater Revival furono tra coloro che operarono per sottrazione. Ma - checché ne dica il loro nome - il revival dei Creedence Clearwater Revival, se di revival si tratta - già, perché il folk ed il blues in America non sono mai morti -, è un revival comprensibile solo una volta tenuti presente i Jefferson Airplane e compagnia, ossia quell'articolato e cerebrale rock psichedelico e acido che proseguì il primordiale discorso avviato dal folk-blues.

Nel 1968 i Jefferson Airplane erano al loro quarto album. I losangelesi Byrds al quinto, i loro padri e concittadini Beach Boys oltre il decimo, i lori figli e concittadini Doors al terzo. Dopo che tutti costoro si sono allontanati dal folk-blues (mantenendo comunque un filo sottile), i Creedence Clearwater Revival vi ritornano, ma restano inspiegabili senza gli eretici del folk-blues degli anni 60. E di revival - blues, folk, neoclassico - sarà forse più il caso di parlare per la Gran Bretagna (ad esempio John Mayall, Fairport Convention, Alexis Korner, Moody Blues); pur restando vera l'attività in America - e in California - di Janis Joplin, Gram Parsons, The Band. Il fatto è che più di revival si tratta di sofisticate contemplazioni della tradizione rivissute con il distacco del mito e le malizie moderne. I Creedence Clearwater Revival, in questo senso, sono stati molto più innovativi che "revivalisti".

Creedence Clearwater Revival (luglio 1968) contiene otto brani, i cui capolavori sono: "Gloomy", uno dei vertici assoluti dell'acid-rock dove le chitarre dei fratelli Fogerty qui danno lezioni a tutti - Young compreso-, e "Walking on the Water" tra Byrds (per certi sibili elettrici) e Springsteen (per la cavalcata progressiva e ricca di pathos). Nel conio troviamo altri brani originali come "The Working Man", in cui Fogerty si dimostra un abile compositore blues, al pari Richards e Jagger. "Get Down Woman" si sviluppa invece tra la "Before You Accuse Me" di Bo Diddley e un Detroit-blues alla John Lee Hooker, mentre "Porterville" pone il baricentro più vicino al roots-rock dei Buffalo Springfield
Nell'album sono presenti anche una serie di cover. Il primo singolo del gruppo (raggiunse il n.58) "I Put a Spell On You" (di Hawkins) è una splendida e commovente genesi del rock dal rhythm and blues, mentre "Suzie Q" (Broadwater/Hawkins/Lewis), brano del 1958, viene riadattato come un polpettone già in odore delle jam-session acide dei Grateful Dead (esordienti un anno prima dei Creedence Clearwater Revival). "Ninety-Nine And A Half (Won't Do)" ripropone invece un brano di Wilson Pickett, che con Otis Redding e Aretha Franklin è il più importante cantante nero di soul degli anni 60.

Il secondo album Bayou Country esce nel gennaio del 1967  e contiene sette brani. Dopo la rilettura dei classici del blues del disco di esordio, i CCR virano verso atmosfere prevalentemente country-folk. Il capolavoro in questo caso è "Graveyard Train", firmata da Fogerty, uno scurissimo blues con basso e armonica protagonisti, in cui la voce di Fogerty dispiega tutta la sua anima-nera e roca. Qui si raggiungono vertici di tensione e ossessione degni del futuro Nick Cave, che d'altra parte si basa sulla fonte alla quale attinge anche Fogerty: il blues di Chicago (e, in misura più indiretta, il folk delle praterie).
"Born On The Bayou" è invece un poderoso soul-blues che tocca volumi - e riff - hard-rock, mentre in "Bootleg", un tenue boogie, la protagonista è la chitarra acustica concepita in un botta e risposta tra gli strumenti come nella migliore tradizione blues. "Penthouse Pauper" rappresenta l'abc del rock, con chitarra in bella evidenza e una voce ancora soul-blues, che pesca da Carl Perkins e nel mezzo cita il vecchio riff di Howlin'Wolf di "I Ain't Superstitous".
Il primo grande successo di Fogerty "Proud Mary" mescola con disinvoltura country e rock, mentre "Keep On Chooglin'" è un esagitato rhythm and blues (con finale hard-rock) che fa di questo l'album più nero dei Creedence Clearwater Revival. L'unica cover presente è quella di "Good Golly Miss Molly" (del duo Blackwell-Marascalco) sfrenata e zeppa di riff rock'n'roll, portata al successo dal fenomenale Little Richard appena un decennio prima.

Green River (agosto1969) continua l'affrancamento dal blues che, andando verso il country-folk, trova la strada del rock più genuino. La title track dietro un'impalcatura roots-blues farà lezione, con il chitarrismo surrealista e l'andamento caracollante, addirittura alla new wave dei Television. I CCR dannno il meglio in "Commotion", possente blues-rock che potrebbe essere dell'Hendrix più epilettico e hard, e in "Sinister Purpose", smagliante e commovente processione r&b meritevole dello statuto di classico.
"Tombstone Shadow" prende la strada di un grezzo garage-blues sul modello dei Cream, mentre "Wrote A Song For Everyone", "Bad Moon Rising" e "Lodi" gettano le basi per quel rock tipicamente americano che troverà la sua fortuna in un cantautore come Bruce Springsteen. "Cross-Tie Walker", con i riff del basso e gli squilli della chitarra, affonda le sue radici in quel secolare grembo country-folk dal quale trova ispirazione lo stesso Neil Young.  Anche in questo caso è presente una sola cover: questa volta è un classico del soul, "The Night Time Is the Right Time" (Brown/Cadena/Herman), già nel 1958 proposto da Ray Charles e qui eseguito con un piglio da Rolling Stones.

Tre album in un anno: pochissimi nel rock si sono potuti permettere di farne tanti e di tale livello in così poco tempo. Come se ciò non bastasse, i CCR con Willy and the Poor Boys (novembre 1969) danno alle stampe il quarto capolavoro consecutivo. Qui il gruppo raggiunge la perfezione formale, con un'esecuzione sempre impeccabile e originale. Ed è proprio l'esecuzione del gruppo ad essere, al tempo stesso, la più "revival" o tradizionalista e la più avveniristica di sempre. Un tono naif - talora persino dark - è infine la nota aggiuntiva del nuovo album.
Il capolavoro assoluto è "Effigy", melodramma tra l'acustico e l'elettronico capace di far accapponare la pelle a Neil Young e ricchissimo d'effetti d'artificio nella chitarra a cuore aperto del leader. Notevoli sono poi l'inno sarcastico-generazionale di "Fortunate Son", assalto frontale con chitarra irrefrenabile e voce rabbiosa, e la strumentale "Side O' the Road", un blues acido tra Grateful Dead e Clapton che farà da scuola a Steve Ray Vaughan. Un viaggio "sulla strada" - appunto - guidato dalla chitarra di John Fogerty e dal suo gruppo che, come un metronomo, lo accompagna.
Completano il quadro "Down On The Corner", quintessenza del country-rock tra lo scanzonato, il nostalgico e il cupo dei Creedence Clearwater Revival; "It Came Out Of The Sky", che sebbene nell'approccio della voce risenta di Bob Dylan, vanta una chitarra velenosissima e granitica (ponte ideale tra Chuck Berry e la new wave di fine 70); "Feelin' Blue", esercizio d'alta scuola tra il country (la base musicale) e il soul (il canto vertiginoso); e infine "Don't Look Now",  impeccabile e surrealista esempio di country-folk completamente rinnovato.
Due sole sono le cover: "Cotton Fields" di Leadbelly (il compagno di strada di Blind Lemon Jefferson) e la tradizionale "The Midnight Special".

Sebbene il 1969 avesse visto ben tre album e sette singoli dei Creedence Clearwater Revival in classifica, è il 1970 il loro anno, con due album e sei singoli nella top5 (tutti da Cosmo's Factory). Con lo scioglimento dei Beatles, poi, i Creedence si laureavano unica e incontrastata "band da hit single" negli Stati Uniti, una macchina da ballo capace di mettere d'accordo opposte fazioni: hippie amanti della psichedelia e nostalgici del rock n' roll, liceali e universitari, radio mainstream e frequenze alternative. Al momento dell'uscita di Cosmo's Factory in pochi credevano a ulteriori exploit artistici, eppure i quattro californiani stupirono il mondo ancora una volta. 

Il quinto disco dei Creedence Clearwater Revival esce in realtà in un momento di forte tensione e caos interno: tornati in primavera dalla prima tournée europea (con tappa alla storica Royal Albert Hall londinese), i ragazzi avevano bisogno di staccare dalla routine successo-disco-concerto-mass media e di rilassarsi un po'. Lo strapotere del leader John Fogerty (voce e chitarra solista, sax, tastiere, compositore e manager) cominciava ad andare stretto al resto della band, in particolare al fratello maggiore Tom, con cui i rapporti non erano mai stati idilliaci. Malgrado i problemi, quello che si apprestavano a registrare era il disco più bello e venduto della carriera, epitaffio solenne di due anni vissuti con il tachimetro al massimo. 


Cosmo's Factory (n.1 in Usa e Uk) rappresenta la summa stilistica dei Creedence, riuscendo a mettere insieme tutti i vari ingredienti musicali: trascinanti inni rock perfetti per le classifiche, soffici ballate soul, tributi alle origini (rock n' roll, blues e r&b), country ed estese jam strumentali. Smentendo le accuse di "gruppo abile solo a 45 giri", i Creedence realizzano il loro disco più coeso, in cui ogni canzone ha una storia a sé. L'apertura è affidata a "Ramble Tamble", un ribollente uptempo rock che viaggia a pieni giri come un treno merci, forte di un riff incisivo e reiterato e una prova vocale graffiante come al solito. Proprio quando sembra tutto finito, il brano rallenta e si trasforma: le chitarre raffreddano l'irruento calore delle frasi precedenti e virano in una lenta ballad che prosegue indisturbata fino all'ennesimo cambio di tempo e alla chiusura veloce, speculare alla prima parte. 
"Before You Accuse Me" di Bo Diddley apre la parentesi delle cover (ben quattro in tutto l'album) e calma gli animi con una brillante prova di rock/blues, con ortodossi soli e pianoforte in sottofondo. Ma è solo un momento perché in agguato c'è la scatenata "Travelin' Band", col suo intro di sax tenore e il tiro micidiale di basso e batteria: la voce di John pare sempre in procinto di spezzarsi, tanta è la foga espressiva. Alzarsi in piedi e ballare sembra quasi naturale. 
Le pulsazioni diminuiscono appena con "Ooby Dooby" di Roy Orbison, efficace tributo al rock n'roll della Sun Records, storica etichetta di Elvis Presley, Jerry Lee Lewis e dello stesso Orbison. Come nel caso di Diddley, anche qui è evidente il rapporto rispettoso delle radici anni 50 e le capacità camaleontiche che valsero loro la nomea di "ufficio stampa dei Fifties per la nuova generazione". 
Con "Lookin' Out My Back Door" si esplorano gli orizzonti del country-rock: il tema del viaggio (più simile alle divertenti, picaresche avventure narrate da Mark Twain che al road trip lisergico di "Easy Rider") è dipanato attraverso uno shuffle dal ritornello contagioso, melodia efficace e saltellante. Praticamente l'opposto di "Run Through The Jungle", che con le sue esplosioni chitarristiche e i riff ossessivi ben rappresenta l'ambiente cui fa riferimento il titolo. Vengono fuori i Creedence più polverosi e lugubri, campioni di quel paludoso "jungle beat" che non può che ricordare il Vietnam: soldati in fuga, alberi tropicali e torride cascate di Napalm. 
Scenari inquietanti che vedono un parziale rasserenamento con "Up Around The Bend" e "My Baby Left Me": grande riff di elettrica, cori e refrain perfetto per la prima, brillante rilettura rock n' roll (targata Presley, 1956) e consueti stop&go per la seconda. 
A questo punto tutto è pronto per il grande capolavoro di John Fogerty, la splendida "Who'll Stop The Rain" in cui si torna a parlare proprio di guerra e Viet Cong. L'atmosfera però è più serena, corale e rilassata rispetto a "Jungle", illuminata com'è dai fraseggi aperti di chitarra acustica e armonie vocali da inno generazionale. 
Con "I Heard It To The Grapevine" di Marvin Gaye il gruppo dimostra di aver assimilato alla perfezione anche le radici nere, riuscendo con naturalezza a riproporle, scovando nuovi territori espressivi e possibilità che neppure l'autore originale sognava di contemplare. In questo caso l'originale di Gaye perde tutta la patina sexy e glamour che aveva, sporcandosi le mani con undici minuti di sfiancante, eccitante jam di soul-rock allucinato. Il brano si trascina lento e imperturbabile attraverso insinuanti vortici chitarristici e solide briglie ritmiche (la coppia Stu Cook e Doug Clifford in forma strepitosa) verso un finale che non arriva mai e che, infatti, morirà in dissolvenza. 
La conclusiva "Long As I Can See The Light" con il suo pigro andamento soul chiude in maniera romantica il discorso, con un languido sassofono e uno sguardo ottimista verso il futuro. Il futuro dei Creedence, però, non sarebbbe durato molto a lungo.

Nel dicembre del 1970 esce Pendulum, l'unico album dei Creedence Clearwater Revival senza cover: è infatti un album del cantautorato di Fogerty. Nonostante tali buone intenzioni, l'album segna l'inizio della fine per il gruppo. Tom Fogerty se ne andrà infatti al termine delle registrazioni e la vena del fratello si dimostrerà subito dopo prosciugata. L'opera, svalutata dalla critica ma apprezzata dal pubblico, va ammirata se non altro per la perfezione formale e per l'abilità nell'esecuzione delle varie pose o stili - tanto varie che finiscono per mettere in discussione il caposaldo stesso dei Creedence Clearwater Revival: il rock. Se la precedente "medietà" del gruppo era il rock, adesso è il pop. Esemplificativo in questo senso è il country-pop di "Have You Ever Seen the Rain?", il vertice della desolazione (che incupisce persino "Who'll Stop the Rain"). "(Wish I Could) Hideaway" è invece una canzone più barocca, dominata dalle tastiere anni 70, mentre "Rude Awakening, No. 2" avanza come uno strumentale progressivo coi fiocchi: i primi due minuti sono inusitati, raffinatissimi, coinvolgenti, melanconici, e valgono il resto, che si perde più o meno in esperimenti para-elettronici abbastanza gratuiti.

Gli altri brani degni di nota sono "Pagan Baby", "Hey Tonight" - dove primeggia in entrambe una chitarra molto "roots" - e "Sailor's Lament", che anticipa di oltre 15 anni l'etno-pop di Paul Simon ("Graceland"). "Molina"" e soprattutto "Born To Move" gettano d'altrocanto un ponte verso James Brown e il funk.

Mardi Gras
(aprile 1972) è il primo e ultimo album dei Creedence Clearwater Revival senza Tom Fogerty. Clifford e Cook partecipano alla stesura di molti brani, ma il tracollo è ormai alle porte. Il risultato è un disco con più momenti di buio che di luce (ricordiamo "Looking for a Reason", "Sweet Hitch-Hiker" e la cover di "Hello Mary Lou"). Siamo dinanzi alla fine dei Creedence Clearwater Revival. John Fogerty avvierà una fortunata carriera solista, i restanti membri avrebbero invece dato vita al "revival del revival" con i Creedence Clearwater Revisited, portando in giro il vecchio repertorio del gruppo.

Sono bastati pochi anni per portare i CCR in cima alle stelle dell'olimpo rock, dalla cui vetta si può solo che scendere. I Creedence sono stati troppo innamorati di valori fuori moda per risultare "trendy": niente droga/sesso/violenza o ideali rivoluzionari, nessuna aderenza alle avanguardie o all'underground. L'energia pura, elementare, scaturita da quei brani non ha bisogno di chiavi segrete per essere codificata. 
Per questi motivi non hanno mai varcato la soglia che dal culto porta all'icona culturale: diversamente dagli Stones, da Dylan o dai Doors, i Creedence Clearwater Revival non abitavano i sogni bagnati dei teenager. Con quelle barbe e occhiali non si rimorchiava, le camicione a quadri sarebbero tornate di monda solo vent'anni dopo. Eppure quel mélange di rock primitivo e schiette dichiarazioni populiste faranno dei Creedence la rock band "working class" per eccellenza: da Keith Richards a Bruce Springsteen, passando per le frange del Southern rock (Lynyrd Skynyrd) e dell'alternative country (Gram Parsons; Long Ryders; Uncle Tupelo) troviamo sempre qualcuno che li ha ammirati, assimilati, rievocati nella propria musica.

Creedence Clearwater Revival

Discografia

Creedence Clearwater Revival (Fantasy, 1969)

7,5

Bayou Country (Fantasy, 1969)

7,5

Green River (Fantasy, 1969)

8

Willy And The Poorboys (Fantasy, 1970)

8

Cosmo's Factory (Fantasy, 1970)

8

Pendulum (Fantasy, 1970)

7,5

Mardi Gras (Fantasy, 1971)6
Greedence Gold (Fantasy, 1973)
More Greedence Gold (Fantasy, 1973)
Live In Europe (Fantasy, 1974)
Masters Of Rock (1975)
Golliwogs (1975)
Chronicle: The 20 Greatest Hits (Fantasy, 1976)
Chooglin' (Fantasy, 1976)
Greatest Hits (Fantasy, 1979)
Live At Albert Hall [The Concert] (1981)

7

The Hits Album (Fantasy, 1982)
Chronicle Vol.2 (Fantasy, 1986)
The Movie Album (1993)
Pietra miliare
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