Di vodka nel cuore ne ho versata tanta, la vita oggi è dura per una donna che conta.
Basterebbe tale esternazione per intuire il pensiero di M¥SS KETA, giovane cantante milanese salita alla ribalta nel 2013 con il singolo "Milano, sushi e coca", al quale sono poi seguiti i vari "In gabbia (non ci vado)", "Burqa di Gucci", e "Le ragazze di Porta Venezia": tutti inclusi nella raccolta "L'angelo dall'occhiale da sera: col cuore in gola" del 2016. Per quanto possano apparire amatoriali i primi video e le sue prime esibizioni, la misteriosa performer perennemente nascosta dietro un velo - perché in fondo "c'è un po' di M¥SS in ognuno di noi" - ha mostrato fin da subito di avere le idee abbastanza chiare. Le sue provocazioni messe sul piatto tra una posa trash e l'altra, tra una trovata kitsch e bizzarri passi di danza, non fanno prigionieri. L'impatto è di quelli forti: prendere o lasciare immediatamente.
Già, perché M¥SS KETA rema al contrario. Se ne sbatte altamente dei tempi e dei ricicli stilistici a orologeria. Pesca dritto dall'electroclash dimenticatissimo dei Novanta, dal dubstep più malandato, piazza qui e là citazioni ambigue ed esilaranti, tra un flirt con Sophia Loren a Courmayeur e un D'Alema intento a spalmarle la crema in barca a vela; il tutto citando a iosa sostanze stupefacenti come se vivessimo ancora nell'epopea dei rave chimici, dei Prozac+ e dei Mark Renton. Tra le sue strofe troviamo di tutto: Nietzsche, Amanda Knox, Amanda Lear, Paolo Fox, Pisapia, Olindo e Rosa, Starbucks e godimenti assortiti, tra un carpaccio ghiacciato e una Mustang.
Eppure, metà di questo suo esordio, intitolato "UNA VITA IN CAPSLOCK" (modalità con cui sono scritti i titoli di tutte le sue canzoni), prodotto niente di meno che dalla Universal, nasconde qualcosa di ben più profondo di una diva autoproclamatasi tale che gioca a fare la vamp divoratrice di uomini e serate da bere fin quando ce n'è.
Nella seconda metà del piatto le cose cambiano parecchio, e sorprendono esternazioni come "Questo disco, ragazzi, deve vendere bene, voglio mettere a letto i miei figli con le pance piene" (da "ULTIMA BOTTA A PARIGI"), che mettono in luce tutt'altra sostanza. Un dualismo sorprendente, non solo per passaggi simili, bensì per l'arrangiamento improvvisamente più morbido, nel quale spunta pure qualche fiato, prima che tutto punti a (dis)perdersi in un'elettronica a suo modo glitch.
M¥SS KETA appare quindi molto attenta nell'evitare di ridurre tutto alla stiva degli alcolici e dei farmaci, o meglio a una provocazione estenuante che potrebbe agilmente indurre i più a inquadrala esclusivamente come una sorta di Lady Gaga scaduta da più di un lustro e rimessa ugualmente nel forno. Inoltre, in "BOTOX" KETA riporta a galla finanche un tema tanto caro alla Rettore, e con risultati positivi. Mentre in "IRREVERSIBILE" la base in cassa dritta del giovane (ma già navigato) producer Riva, tanto tamarra, quanto cazzuta, riesce a fare il suo sporco dovere. Stesso dicasi della successiva "MONICA", con il fidato Populous che infila tamburelli e giretti house, così come la ritmica sgangherata del brano "LA SCIMMIA È PAZZA". Infine, in "SPLEEN QUEEN" spuntano anche delle chitarre distorte. Un episodio decisamente diverso da tutti gli altri, addirittura vicino agli andazzi synth-rock analogici e sconquassati dei divini Add N to (X).
Al di là delle più prevedibili secchiate di critiche e buu che pioveranno dal cielo per mano delle maestrine con la verità in tasca e la penna rossa conficcata anche nel taschino del pigiama, una cosa è certa: a M¥SS KETA non manca coraggio e personalità, e pure qualche trovata terribilmente giusta.
23/04/2018