Of Montreal

Lousy With Sylvianbriar

2013 (Polyvinyl)
psych-pop, folk-rock

Ebbene sì, gli of Montreal sono tornati. Sarebbe troppo facile adesso scrivere che non ci si sperava più, visto che “Paralytic Stalks”, lo scorso anno, aveva già lasciato più di un segnale incoraggiante, in netta controtendenza rispetto allo sconclusionato “False Priest” e all’indimenticabile nadir di “Skeletal Lamping”.

Certo, quando si parla della rutilante creatura di Kevin Barnes una pur minima quota di cautela è doverosa; eppure, se è vero che due indizi non fanno una prova, nel caso della band statunitense il loro verificarsi rappresenta una coincidenza che non può proprio passare inosservata. Non è poi meno curioso che l’estro ritrovato in extremis sia coinciso con una lunga permanenza del frontman lontano dal quartier generale di Athens, e più precisamente a San Francisco. E’ qui che è maturata infatti l’idea di un album improntato sulle sonorità della West Coast degli anni d’oro, da registrarsi alla svelta e alla vecchia maniera, in presa diretta e con minimi ritocchi a margine. Ed è qui che è nato di fatto questo “Lousy With Sylvianbriar”, il terzo Lp del gruppo in appena dodici mesi ma anche il primo assemblato con materiale del tutto inedito (“Daughter Of Cloud” era una raccolta di b-side relative all’ultimo lustro, mentre “Young Froth/Taypiss” si limitava a documentare i primi incerti passi della carriera). Basta lasciar scorrere i quattro minuti scarsi del singolo battistrada “Fugitive Air” per accorgersi che, al di là dell’enfasi trasformista e del vizietto per le briose iperboli catchy, qualcosa è cambiato a livello di scrittura. Le idee non sono affastellate in ordine sparso con esiti chiassosi. Prevale inattesa la linearità, dettaglio che non comporta l’automatica normalizzazione delle peculiarità espressive per cui la band è celebre, bensì una sorta di depurazione da tutte le scorie formali, dalle peggiori pacchianate e dalle astrusità particolarmente indigeste del recente passato.

La scelta di un abito ricco di suoni e colori, sgravato per una volta di tanti orpelli ridondanti e falsificazioni sintetiche, dovrebbe dirla lunga in tal senso. Il profilo è un po’ più basso del solito, ma la compagine della Georgia pare decisamente in condizione e ha dalla sua un equilibrio che mancava da tempo, una moderazione più che opportuna, indispensabile a non compromettere la consueta messe di buone intuizioni per il solo gusto della caciara farsesca. Gli ingredienti per un lavoro godibile ci sono tutti: songwriting schietto, automatismi easy-listening oliati a dovere, ritmi incalzanti, melodie contagiose, ritornelli policromi e cangianti, tono deliziosamente spensierato. La collaborazione con Drew Vandenberg – già prezioso in “Halcyon Digest” – sposta in maniera determinante i riferimenti verso i (quasi) concittadini Deerhunter, e non è affatto un male: la fusione di elettrico e acustico (qua e là si fanno largo pennate di slide o svolazzi di mandolino) risulta impeccabile, le fascinazioni elusive della casa non mancano e i suoni svelano una bella patina dreamy polverosa che aggiunge carattere.
Il ritorno alla dimensione analogica non ha spento insomma la vena ruspante degli of Montreal, contribuendo piuttosto a riportare in grande spolvero – in abbinata al recente Elf Power – la geniale ortodossia psych-pop della Elephant 6. Dopo gli eccessi grossolani degli ultimi passaggi, il loro kitsch ha trovato finalmente un criterio, una purezza intrigante che non si accontenta più dell’apparenza pirotecnica. A fare sensazione è la misura di cui il quintetto americano si dimostra ancora capace, magari giostrando a meraviglia tra le più disparate nuance: malinconiche, estatiche (“Amphibian Days” ricorda gli ultimi Besnard Lakes) o decadenti che siano.

Se la varietà di soluzioni non stupisce più, a fare notizia è la coesione convincente dell’insieme, già cronica nota dolente per la band. La press release si spinge a scomodare – tra gli altri – Neil Young e Bob Dylan, ma nelle suggestioni oblique e nell’intimismo folk sixties del gioiellino al cristallo “Sirens Of Your Toxic Spirit” si riconoscono piuttosto i Fred Neil, i Gram Parsons, i Tim Hardin e gli Harry Nilsson, mentre è la California del ’67 a fare capolino nella chiusa limpidissima di “Imbecile Rages” o nell’altra gemma luminosa e colma d’incanto, “Raindrop In My Skull”, con il microfono affidato all’amica Rebecca Cash. Altrove riaffiorano (a tratti) la frivolezza e i coretti iperglicemici delle loro mascherate più riuscite (“Triumph Of Disintegration”), gli incroci sconsiderati di rock da battaglia e bizzarria festaiola (“She Ain’t Speaking Now”) o gli assoli lussuriosi degli esordi scarmigliati, ma gli of Montreal di oggi hanno drasticamente sforbiciato i falsetti, le derive funky e le tentazioni della black music. Kevin non rinuncia al suo ruolo di mattatore a tutto campo ma riesce insolitamente controllato, dalle pose à la Bowie di “Obsidian Currents” alla piacevole ruvidezza applicata al pop di “Belle Glade Missionaries”, passando per l’interpretazione algida nell’esplicito omaggio alla poetessa Sylvia Plath  di “Colossus”, con un pianoforte che fa tanto Radiohead ad assecondarne le mosse. Negare a un Barnes in così buona forma di essere ancora uno degli autori più talentuosi, eccentrici e versatili della sua generazione, sarebbe quantomeno scorretto.

“Lousy With Sylvianbriar” affascina, prima di poter stordire. Come sempre con gli of Montreal si arriva satolli al traguardo, ma stavolta non c’è spazio per il fastidioso senso di indigestione che caratterizza puntuale ogni nuovo approccio nei loro confronti come il più spiacevole degli effetti collaterali. Si è gratificati con leggerezza, impressione assai piacevole cui i loro album ci avevano disabituato.
Per chi abbia amato il gruppo di “The Gay Parade” o “Satanic Panic In The Attic” (più che il loro indiscusso capolavoro), un ritorno persino insperato. Per chi invece ancora non li conosca, un’occasione per entrare nel loro mondo che sarebbe un vero peccato non cogliere.

11/11/2013

Tracklist

  1. Fugitive Air
  2. Obsidian Currents
  3. Belle Glade Missionaries
  4. Sirens of Your Toxic Spirit
  5. Colossus
  6. Triumph of Disintegration
  7. Amphibian Days
  8. She Ain’t Speakin’ Now
  9. Hegira Émigré
  10. Raindrop in My Skull
  11. Imbecile Rages