Julian Cope

Black Sheep

2008 (Head Heritage)
songwriter, alt-rock
6.5

Con Julian Cope spesso si tratta di una questione di prendere o lasciare. Lo vedi nelle foto contenute all’interno del booklet del nuovo album, attorniato da dei brutti ceffi che manco tamarri come i peggiori Motorhead, in pose a dir poco imbarazzanti, e ti verrebbe proprio di dar ragione a quanti non lo prendono sul serio. Del resto uno che si definisce Arcidruido, che ha scritto un libro sui megaliti e che non perde occasione di attaccare le religioni monoteiste attraverso i suoi dischi – anche in questo – quantomeno particolare lo deve essere.
Non prenderlo sul serio, però, è un errore, e anche grave.
Primo, la sua discografia è costellata, tra diversi dischi minori e altri quasi incomprensibili, anche di qualche autentico capolavoro; secondo, come scrittore è andato ben oltre il già citato libro sui megaliti, e anzi i suoi divertentissimi e stimolanti saggi sul kraut-rock e sul rock giapponese sono già dei must per qualsiasi libreria di appassionato di musica che si rispetti; terzo, c’è più di una verità nella sua - spesso confusa e maniacale, questo è vero - critica alle religioni e di rimando alla nostra società.

"Black Sheep" che, come gli ultimi due lavori esce in doppio cd, anche se uno sarebbe bastato, è un disco che ripropone in parti abbastanza equilibrate pregi e difetti della sua ultima produzione. Meno focalizzato di "Citizen Cain’d", ma superiore a "You Gotta Problem With Me", il disco contiene undici canzoni che girano attorno al tema dell’unicità dell’individuo, contrapposta alla massa e alle sue forme d’organizzazione. Molto meno rumoroso e hard del passato recente, "Black Sheep" è quasi interamente composto da una serie di ballate che all’elettricità preferiscono le chitarre acustiche e un largo dispendio di tastiere.

Il difetto maggiore sta in una produzione confusa e spesso datata, con qualche scivolamento nelle sonorità del prog più deteriore (e minore) e nell’utilizzo di effettacci e suoni di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Ed è davvero un peccato, questa mancanza di lucidità produttiva, perché poi la maggior parte delle canzoni espongono una scrittura assai efficace e d’alto livello.
Per fortuna, alla fine, l’ago della bilancia pende dalla parte del più, e il disco si fa ascoltare con piacere, a partire da una rockata "Come The Revolution", passando per la folkeggiante "These Things I Know", per le lambiccate atmosfere britanniche di "Blood Sacrifice", per i goticismi dark di "The Shipwreck Of St. Paul", tutte sul primo cd.

Il secondo dischetto si apre con l’appeal pop dell’elettroacustica "All The Blowing-Themselves-Up Motherfuckers", per poi proseguire con un irresistibile brano loureediano intitolato "Feed My Rock’n’Roll" (che sfocia in una coda noise), con una stupenda e gentile folk-song come "The Black Sheep’s Song" e con la lunghissima e affascinante reiterazione di "I Can Remember This Life".

Come già detto, anche nei pezzi migliori potreste trovare qualche particolare che vi farà storcere il naso, ma alla fine, questo simpatico mattoide, rimane uno dei più grandi musicisti britannici in circolazione. Non sempre le ciambelle gli riescono col buco, ma questa volta, nonostante tutto, il sapore non è affatto male.

12/11/2008

Tracklist

Disc 1

 

  1. Come The Revolution
  2. It's Too Late To Turn Back Now
  3. These Things I Know
  4. Psychedelic Odin
  5. Blood Sacrifice
  6. The Shipwreck Of St. Paul

 

Disc 2

 

  1. All The Blowing-Themselves-Up Motherfuckers
  2. Feed My Rock'N'Roll
  3. Dhimmi Is Blue
  4. The Black Sheep'S Song
  5. I Can Remember This Life