È probabile che a questo giro i Volcano The Bear ricevano l'attenzione che meritano. L'interesse che la critica più avveduta sta dedicando alle musiche primitiviste, neofreak, out, o come diavolo vi va di chiamarle, dovrebbe investire anche questo misterioso combo britannico, che già da qualche anno delizia (o strazia) i padiglioni auricolari di noialtri fanatici di stramberie, con album di un certo interesse. Almeno "Five Hundred Boy Piano" e "The Idea Of Wood" da recuperare senza pensarci due volte, tenendo anche conto che codesti riescono ad avere la lungimirante educazione di non invadere il mercato con spropositate valanghe di cd-r casalinghi.
Chi non li conosce si chiederà cosa suonino mai, questi Volcano The Bear. Beh, potrei buttar lì un sei-sette nomi a casaccio di artisti storti e contorti che male che vada non si va comunque lontano dal vero (ma qual è il vero?). Ma proviamoci lo stesso. In realtà, pur su un impianto di fondo coerente, i nostri risultano discretamente fantasiosi, tanto da riuscire a impersonare guastatori cazzeggianti come Snakefinger (in "My Favorite Tongues"), ma anche seri sacerdoti dell'occulto alla
Current 93 prima maniera (in "Lifetime", ad esempio). Laddove, poi, le due dimensioni vengono a contatto, si sfiora il capolavoro. A testimoniarlo la bellissima "Russian Milk", una sorta di oscura filastrocca raga, come se un eroinomane Tiny Tim jammasse con Nurse With Wound e Ravi Shankar in un circo radioattivo.
Un album vario, "Classic Erasmus Fusion", quindi, che riesce a tenere desta l'attenzione, nonostante la lunghezza mastodontica, in un doppio da diciassette pezzi per quasi novanta minuti di durata. E dire che le composizioni più impegnative sono piazzate verso la fine, a partire dalla "See Mee Now" che chiude il lavoro: un'estenuante suite minimalista che mostra un Tony Conrad fagocitato in un'ipotetica
nightmare house dai Caroliner Rainbow o da qualche altro sciamannato di siffatta risma. O ancora "The Last Song Of Norway", un'autentica discesa agli inferi moderata da una qualche timida bramosia terzomondista, per non parlare della notevole "Erasmus, The Queens Dentist", meraviglia di rarefazione
noise che va a pescare dalle parti dei Popol Vuh più estatici, riflessi dagli specchi deformanti di Nocturnal Emissions.
Sull'effettiva valenza delle nuove musiche
freak in epoca di cd-r come se piovessero, masterizzazioni casalinghe,
file sharing, progressivo scemare del concetto di album-"manufatto d'arte", sarà il caso di fare un discorso serio (il confine tra arte e artificio autoreferenziale è piuttosto labile in questi casi...) e che mieterà parecchie vittime. Ciò che appare certo, almeno per il sottoscritto, è che i Volcano The Bear, con "Classic Erasmus Fusion", infliggono una dura lezione di compiutezza musicale alla maggior parte dei
free-wild-weird folker, noise-improvvisatori, avant-menestrelli stralunati e malfattori sonici vari di questi ultimi anni.
12/06/2006