Radio Days

Il lato pop del rock'n'roll

intervista di Fabio Guastalla

Portacolori del power-pop in Italia, i milanesi Radio Days (attualmente Dario Persi, Paco Orsi e Mattia Baretta) nel corso di una carriera iniziata nei primi anni Duemila sono diventati uno dei gruppi di riferimento della scena in tutta Europa, come testimoniano i numerosi tour su e giù per il Vecchio Continente. Merito di un sound che sa mescolare alla perfezione melodie cristalline e piglio rock'n'roll, una miscela messa a punto negli anni e letteralmente esplosa con gli ultimi due lavori in studio "Get Some Action" e "Back In The Day".

La prima cosa che ho pensato ascoltando "Back In The Day" è che ognuna delle quattordici canzoni potrebbe essere un potenziale singolo. Come nascono le vostre canzoni, e che tipo di lavoro c'è dietro a ogni brano?

Innanzitutto, grazie mille. Con l'incipit di questa domanda ti sei già conquistato un posto nel nostro cuore e una spilletta omaggio che ti verrà trionfalmente consegnata con una piccola cerimonia al nostro prossimo concerto. In realtà questa tua constatazione, che ovviamente ci fa molto piacere, rispecchia perfettamente quell'insieme di fatica ed entusiasmo che abbiamo provato nel decidere la scaletta definitiva dell'album. La nostra idea originaria era quella di registrare 14 brani, per poi sceglierne dieci da inserire nel disco e utilizzare le rimanenti quattro come b-side per eventuali singoli o come bonus track per le varie edizioni estere (Giappone e Stati Uniti). Più facile a dirsi che a farsi: la drammatica serata in cui ci siamo ritrovati per decidere gli "scarti" del disco è stata talmente frustrante e la tensione tra di noi così vertiginosa che, dopo due mancate risse e uno scioglimento momentaneo, abbiamo deciso di fare uscire un disco di quattordici pezzi, come forse non si faceva dai primi anni 2000. Inutile dirti che è stata la migliore scelta che potessimo fare.
Per quel che riguarda la creazione e lo sviluppo delle canzoni, posso dirti che dopo parecchi anni di esperienza abbiamo finalmente raggiunto una formula piuttosto collaudata: solitamente Dario porta una canzone pressoché strutturata (strofa e ritornello) che ha precedentemente scritto con la chitarra acustica, dopodiché ci mettiamo ad arrangiarla tutti insieme per svariate prove, aggiungendo bridge, arpeggi, orpelli e barocchismi. Dopo qualche tempo ci accorgiamo di avere cagato fuori dal vaso e ci rimettiamo al lavoro sulla canzone per epurarla di tutti gli eccessi e le follie che il nostro cervello in apnea di ossigeno ha partorito. Nel giro di tre settimane il pezzo è solitamente finito.

Guardandovi alle spalle, c'è un cammino di oltre dieci anni. Quanto è difficile emergere al giorno d'oggi? E qual è l'ingrediente che, con l'esperienza, avete imparato a utilizzare a dovere?
È evidente che se esiste un ingrediente segreto per emergere e portare la propria band al successo, noi non lo conosciamo. Anzi, se vogliamo analizzare il nostro percorso musicale sotto l'aspetto della ricerca della fama e della popolarità, credo che negli anni abbiamo sempre fatto la scelta peggiore nel momento più sbagliato: abbiamo abbandonato il punk-rock per dedicarci a un genere oscuro e decisamente poco amato come il power-pop, scegliamo di cantare in inglese invece che in italiano per una coerenza filologica col nostro background musicale (riesci a immaginarti una tarantella napoletana in inglese?), utilizziamo sì i social per promuoverci, ma senza omologarci a quegli orribili meccanismi che portano le band a diventare entità bidimensionali fatte di immagine e frasi ad effetto (in fondo della musica chi cazzo se ne frega, è l'ultima cosa che conta, giusto?).
Per quel che mi riguarda, l'unico modo per sentirsi realizzati all'interno di una band è quello di suonare quello che ti piace veramente, nella maniera che più ti soddisfa, con le persone con cui condividi un legame vero e una passione forte, senza farsi influenzare da quello che credi possa avere un potenziale commerciale; suonerebbe falso e non c'è niente di peggio di una band che suona senza essere convinta di quello che fa.
Questo tipo di visione ci ha permesso di realizzare alcuni nostri sogni, come suonare e registrare dischi insieme a due delle nostre band preferite di sempre (i Rubinoos e i Beat) e aver suonato sostanzialmente in tutta Europa. Non saremo mai un gruppo da classifica e nemmeno verremo inseriti nella top 20 delle band indie più popolari d'Italia... sappiamo di suonare un genere che è tradizionalmente di scarso successo commerciale, ma è quello che amiamo fare e va bene così.

Con il nuovo album la formazione diventa a tre, ma insieme a voi c'è Gabriele Bernardi dei Rudi alle tastiere. Come nasce questa collaborazione, e qual è il valore aggiunto che ha dato a queste canzoni?
La scrittura di "Back In The Day" come power trio ha portato una ventata di aria fresca nelle dinamiche di arrangiamento. È stato un po' come fare tabula rasa delle nostre certezze, il che ci ha spinto a suonare con l'entusiasmo tipico dei ragazzini che si approcciano a un'esperienza completamente nuova. L'idea di fondo era quella di scrivere canzoni che potessero essere suonate dal vivo esattamente nella stessa maniera in cui erano state concepite in sala prove, dirette, immediate e il più rock'n'roll possibile (infatti il disco è stato suonato live e registrato in diretta). Solo in un caso, nella reggaeggiante "Your Words", ci siamo resi conto che era la canzone stessa a reclamare a gran voce la presenza di un organo hammond e così è stato piuttosto naturale chiedere a Gabriele, tastierista dei Rudi, amico e compagno di studi di Dario, di darci una mano nella scrittura del pezzo. Il risultato ci ha così soddisfatto (dal vivo la sua parte viene riprodotta da un loop) che ci siamo fatti tentare inserendo un altro paio di parti pianistiche che hanno arricchito meravigliosamente brani che consideravamo già conclusi (l'organo alla The Band in "Rock'n'Roll Night" e l'angelico riff alla Buddy Holly di "You Bring Me Down").

Tra quelle contenute in "Back In The Day", qual è la canzone che rispecchia al meglio i Radio Days oggi e la loro evoluzione?
Anche se non si tratta di un vero e proprio concept-album, "Back In The Day" assume un significato più compiuto quando viene ascoltato nella sua interezza: le canzoni hanno una loro continuità, una loro crescita e un loro sviluppo all'interno del disco e finiscono per raccontare una storia non solo musicale, ma anche tematica (che guarda caso è sempre la stessa che mi ossessiona da quando scrivo testi di canzoni: la nostalgia per un passato idilliaco perduto, un'epoca metaforica dell'animo umano, che identifica il "passato" come la "golden age" dell'essere umano).
Ora che ti ho dato un'imbarazzante risposta da pseudo-cantautore frustrato, posso dirti che l'ideale sarebbe ascoltare "Back In The Day" alla vecchia maniera, in vinile, prima un lato, poi l'altro, con il fondamentale rituale del "mi alzo e vado a girare il disco". Perché diciamocelo: è così che andrebbe ascoltata la musica, invece di girovagare virtualmente tra centinaia di file anonimi che vengono skippati con la velocità con la quale ci si ritrova ad annoiarsi oggigiorno (niente da fare... oggi sono in vena di predicozzi senili e me ne scuso).
Comunque sia, ascoltando l'album con questo approccio è più facile percepire distintamente le due anime che ispirano il disco: un lato A che affonda le sue radici nel ricchissimo terreno dei Sixties (vedi il brano di apertura) e dei Seventies (la title track ne è un perfetto esempio), con un occhio di riguardo alle origini del power-pop e un lato B che trae maggiore ispirazione da band cronologicamente più vicine a noi come Weezer o Teenage Fanclub. Quindi, per rispondere alla tua domanda, direi "You Won't Fool Me Twice" per il primo lato (forse il pezzo più beatlesiano che abbiamo mai scritto) e "Out Of The Shade" per il secondo.

Parlando di influenze, direi che a grandi linee la vostra musica attinge dal power-pop, dal rock "storico" britannico e americano, dal garage, dal Mod revival... Quali sono le band che più vi ispirano e possono aver forgiato il vostro sound? E per quanto riguarda la scena contemporanea, quali sono i gruppi stranieri e italiani che più apprezzate?
Le nostre canzoni nascono con palesi intenzioni British sixties, ma, durante la loro gestazione, vengono inevitabilmente contaminate dal nostro background adolescenziale più recente (il cosiddetto "power pop anni 90") costituito da gruppi come Muffs, Weezer e Teenage Fanclub che, a loro volta, componevano ispirandosi ai classici Byrds, Elvis Costello o Graham Parker. In questo gioco di specchi di derivazioni noi risultiamo, in parte inconsapevolmente, dei nipoti che tentano di ripercorrere le orme dei nonni, ma che finiscono inevitabilmente per assomigliare un po' anche ai propri padri. In questo modo una canzone nata con Paul Collins nel cuore, durante l'arrangiamento incontra a metà strada un Rivers Cuomo che ne influenza inevitabilmente la realizzazione.
Per quel che riguarda i miei ascolti, ammetto di essere totalmente schiavo dei classici dei Sixties e del power pop anni 70. Quindi nel mio stereo girano sempre Kinks, Hollies, Small Faces, Who tanto quanto Nick Lowe, Big Star e Badfinger (e mi fermo qui perché l'elenco sarebbe infinito). Amo molto anche i gruppi power-pop contemporanei, e oltre ai più famosi Teenage Fanclub o Fountains of Wayne mi piace andare alla ricerca di gemme poco conosciute. Personalmente apprezzo tantissimo gli 88, Cherry Twister, Red Button, Len Price Three, Farrah, The Cry! e il nostro amico Kurt Baker. Inoltre, ascolto sempre grandi classiconi come il David Bowie periodo Ziggy Stardust o il Lou Reed di "Transformer", anche se forse il disco perfetto resta sempre "London Calling" dei Clash. Tra gli italiani mi piacciono tantissimo i Labradors, i Giuda, i Bad Love Experience, gli Home e i Leeches.

Negli anni, e anche di recente, vi siete esibiti più volte in Europa, e soprattutto in Spagna - ormai la vostra seconda casa. C'è un episodio o un concerto al quale siete particolarmente legati, per qualche motivo?
Quando sei in tour da parecchi giorni, scatta un momento in cui il tempo inizia a scorrere in maniera diversa, l'universo non è più soggetto alle leggi della fisica che pensavi di conoscere (soprattutto la gravità) e ci si ritrova sospesi in una sorta di bolla spazio-temporale in cui tutto è precario, i giorni si confondono tra loro e hai la sensazione che qualsiasi cosa potrebbe accadere. Sembra una minchiata new age, ma le cose stanno davvero così. In questi anni di tour spagnoli ci è capitato davvero di tutto, dalla corruzione di pubblico ufficiale per farsi rimuovere le ganasce dal furgone a straordinari concerti sulla spiaggia; da acustici improvvisati in bed and breakfast, a riuscire a fare un sold-out il sabato sera a Madrid. Forse però, una delle giornate più assurde che ci siano mai capitate nella vita è quella che inizia, un paio di anni fa, in un'autostrada spagnola tra Valencia e Almansa. Durante una sosta pranzo in autogrill, dei simpaticoni iberici frantumano il gigantesco finestrino laterale di Sergione (il nostro rustico e anziano furgone) e ci rubano alcuni zaini e borse. Facciamo la denuncia alla polizia locale di un minuscolo paesino sperduto nel nulla e ci fabbrichiamo un nuovo finestrino di cartone che avrebbe fatto un figurone tra gli immigrati italiani a Staten Island di inizio secolo. Ci presentiamo al locale come dei veri profughi, suoniamo e fissiamo un appuntamento per sostituire il vetro in un centro Carglass di Madrid a 400 km di distanza. Il dramma è che il giorno dopo abbiamo il famigerato doppio concerto (di cui uno pomeridiano), quindi puntiamo la sveglia a un orario shock per riuscire a far coincidere tutti gli sbattimenti e dopo un paio d'ore di sonno ci prepariamo alla giornata da incubo. A quel punto Marco (il nostro fonico) decide di sfidare le leggi della fisica e, con l'atletismo che lo contraddistingue, scivola nella vasca da bagno scagliandosi a volo d'angelo contro il lavandino, fracassandosi il cranio e trasformando il bagno nel set di Texas Chainsaw Massacre. Segue una frenetica corsa al pronto soccorso (cinque punti di sutura) e un folle viaggio verso Madrid per non perdere l'appuntamento dal carrozziere, dove, una volta arrivati, veniamo informati tra lacrime e risate isteriche che il nostro furgone è talmente vecchio che il modello di finestrino da sostituire è ormai fuori produzione ed è quindi impossibile cambiare il vetro. Optiamo per l'economica scelta "pannello di plexiglass più nastro adesivo" (che è tuttora, a distanza di anni, unico baluardo difensivo contro le intemperie e i malintenzionati) e portiamo eroicamente a termine il doppio concerto.

Se poteste scegliere un artista con il quale scrivere una canzone... chi sarebbe?
Beh... il più grande compositore di tutti i tempi è senza dubbio McCartney, quindi risponderti "il buon vecchio Paul Ramone" sarebbe piuttosto scontato. Sono sicuro che se fosse ancora vivo Dario vorrebbe scrivere un pezzo insieme a Buddy Holly (uno dei suoi miti), ma alla fine credo che ci accontenteremmo di collaborare con Elvis Costello o al limite con Ray Davies. :)

Discografia

Radio Days(Goodwill, 2006)
C'est La Vie(Tannen, 2010)
Get Some Action(Rock Indiana / Surfin' Ki 2013)
Back In The Day (Rock Indiana / Surfin' Ki, 2016)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Sleep It Off 
(da C'est la Vie, 2010)

Get Some Action 
(da Get Some Action, 2013)

Back In The Day
(versione live al Lo-Fi di Milano, 2016)

Radio Days su Ondarock

Vai alla scheda artista

Radio Days sul web

Facebook