Guignol

L'alienazione di una generazione

intervista di Stefano Bartolotta

In occasione del primo concerto del nuovo tour, abbiamo incontrato Pierfrancesco Adduce, anima dei Guignol, formazione milanese giunta al sesto album. Adduce risponde con ampiezza di particolari alle domande, sia quando si parla di musica e di dinamiche all'interno del gruppo, che quando poi si finisce a esaminare le tematiche sociali sottese ai suoi testi.

Negli ultimi due dischi ci sono stati tanti cambi di formazione, quindi ti chiedo come ti muovi quando devi prendere un nuovo musicista per la band. Lo prendi perché ti piace come musicista in generale, o perché hai già in testa come sarà il disco e sai che quella persona ha le caratteristiche adatte per quello che hai in mente?
Vado al collocamento e lo cerco lì… No, in realtà è capitato di re-incontrare Paolo Libutti un anno e mezzo fa, lui non stava suonando, i Guignol erano rimasti in due, io e Enrico Berton (batteria), gli ho chiesto se voleva entrare nel gruppo e in un primo momento l’abbiamo inserito come chitarrista, dopodiché è diventato bassista e lì è rimasto. In seguito, Giovanni Calella, che ha prodotto gli ultimi due album, mi ha fatto conoscere Raffaele Renne, giovanissimo, gli ho parlato, l’ho trovato molto adatto e molto sveglio e tecnicamente molto bravo, sopra la media, e ho pensato che potesse fare al caso nostro. Anche a livello di ascolti era abbastanza vicino a noi, pur essendo più giovane, è ovvio che da giovane non puoi avere una grande cultura musicale. Così abbiamo provato, abbiamo messo insieme i pezzi, li abbiamo mescolati e abbiamo creato un’alchimia che ha funzionato. Al momento, penso che questa sia la nostra formazione più equilibrata da molti anni a questa parte, intendo dire la meglio messa a fuoco, rispetto a quelle precedenti che erano anche forti ma magari eccedevano in qualche aspetto. Questa è quella che lavora meglio in funzione dei brani, del repertorio che abbiamo.

In effetti l’avevo scritto anche nella recensione che si notava questa cosa. È stata l’alchimia che avete creato che vi ha fatto venire l’idea di rendere il suono più asciutto?
Sì. Io avevo già le idee chiare su come produrre le cose partendo da un presupposto di sottrarre, invece che aggiungere. Avevo bisogno di musicisti che si prestassero a fare questa cosa. Provando insieme, ho capito che si poteva fare. Il modo di suonare di Enrico è abbastanza essenziale, Paolo pure ha una linea molto scarna, seppur robusta, quindi una buona base di partenza ce l’avevamo. Volevo fare un lavoro di sottrazione sul sound, non solo in relazione agli strumenti ma anche all’altro strumento che è la voce. Per poter dare anche più spazio alle canzoni, al recitato, alla voce stessa, bisognava fare un lavoro di equilibrio di tutte le parti. Con loro è stato possibile e non era una cosa scontata. Si è provato ed è andata bene, gli ultimi tre o quattro anni per i Guignol sono stati un mezzo calvario, è stata durissima e ci siamo arrangiati in mille maniere, tutte un po’ raffazzonate. Sono passati Giovanni Calella, Francesco Campanozzi, Paolo Perego, tutta gente che passava, una, due, tre serate, tu sei stato testimone…

Mi ricordo quando ho visto te e Enrico con un chitarrista al Birrificio Lambrate.
Quel chitarrista era proprio Paolo, e come ti dicevo non era il suo ruolo, quindi l’abbiamo messo al basso. Era una fase di sperimentazione, infatti quella serata non riuscì per niente, però avevamo bisogno di suonare per capire come stessero le cose. Da quella volta in poi, abbiamo capito meglio e siamo partiti, iniziando a mettere le cose a posto nella primavera del 2015, poi con Raffaele le cose hanno iniziato a prendere la giusta fisionomia e io ho perfino lasciato la chitarra, il sound in larga parte lo fa lui, io suono un’acustica e alcune parti ritmiche e mi occupo del recitato, cosa che non mi capitava da molti anni, è stata una mezza liberazione. Soprattutto l’insieme ha più asciuttezza ma anche più potenza, più forza.

Anche dal vivo?
L’impatto sì, i live in estate e autunno hanno avuto un’ottima riuscita, mi sono accorto che era molto differente, io mi sono accorto che potevo evitare di dover sia scrivere le canzoni che cantarle che suonarle, ero molto più libero, grazie alla presenza di uno strumentista valido.

Anche la scrittura delle canzoni è stata influenzata dal sapere che tipo di band avevi?
No, io scrivo le canzoni come mi vengono e le porto al gruppo in sala prove, quando sono convinto di avere qualcosa di valido le sottopongo e le arrangiamo insieme. Io di solito porto i testi e una linea di armonia pronta, chitarra e voce, dopodiché arrangiamo insieme e cerchiamo le soluzioni per far venir fuori le canzoni al meglio. La base di partenza la metto io, poi il gruppo prende una posizione.

Calcolando che tu avevi già idea di come produrre e che la band ha trovato la giusta alchimia, mi chiedo, a questo punto il produttore esterno che ruolo ha avuto?
Il produttore esterno era Giovanni, come ho detto, e lui è bravissimo e lo sappiamo. Lui è molto bravo in quello che a noi difettava, ovvero mettere in evidenza le cose in cui mancavamo, svilupparle e farle emergere meglio, mescolare meglio le dinamiche tra noi quattro, perché io ho delle idee di base che poi porto al gruppo e detto la linea iniziale, poi quello che è il lavoro sugli arrangiamenti e su cosa manca e cosa può essere potenziato, lo abbiamo affidato a Giovanni perché uno sguardo esterno è più obiettivo e riesce spesso a trovare meglio una quadra. Soprattutto ci ha aiutati molto in termini di tempo. Avremmo potuto farlo noi, ma avrebbe comportato un impegno di tempo molto più lungo e una messa a fuoco che rischiava di non essere quella più adatta. Giovanni da fuori ha dato una grossa mano.

In un paio di canzoni mi ha colpito il suono del basso molto cupo e sordo, in “L’Uomo Senza Qualità” e “Piccolo Demone”, quindi ti chiedo se mi vuoi dire com’è nata questa caratteristica.
Come ti dicevo, Paolo per un breve periodo ha suonato con noi la chitarra, ma non serviva all’economia del gruppo e abbiamo provato a spostarlo al basso, però lui non è un bassista ed ecco il perché di quel suono lì, che però era quello che volevamo, in particolare che io volevo. Paolo è cresciuto molto con questo strumento, fino a arrivare al punto di caratterizzare molto i nostri brani.

Per quanto riguarda i testi, ho sempre insistito nelle recensioni sul fatto che si parla spesso di situazioni vissute di notte, quindi ti chiedo se mi confermi questa cosa e se vuoi dire qualcosa in particolare sul vivere di notte.
Forse nel disco precedente quella tematica era un po’ più centrale, mentre in questo non credo, credo che la situazione sia abbastanza fuori dalla distinzione giorno/notte, ci sono vicende che vengono vissute in egual misura, indipendentemente dal fatto che splenda il sole o meno. C’è un filo rosso di vicende che hanno a che vedere col vissuto e che va al di là di luoghi e di questo tipo di scorciatoie se vogliamo, intendo dire che in questo disco non c’è l’idea di doversi andare a nascondere e cercare un momento del proprio tempo in cui ritrovarsi o perdersi. Qui c’è un perdersi, punto e basta, o un ritrovarsi, non ci sono vie di mezzo, compromessi, scappatoie. Può apparire forse dal tono generale ma non lo è in realtà, non credo. Anche “Il Merlo” di Ciampi è quello che è: è l’incertezza sul proprio lavoro, sulle proprie aspettative, sulle proprie insufficienze. “Sora Gemma” è un pezzo che ha a che vedere con le vicende di una donna vitale sia di giorno che di notte, pur facendo un lavoro prevalentemente notturno, che però necessita di una presenza di spirito, oltre che di corpo. Altri brani: “L’Uomo Senza Qualità” è un’ossessione per una vita repressa…

A me ha colpito molto il realismo di “Salvatore Tuttofare”.
Quella è assolutamente diurna, è l’alienazione di un giovane, di un uomo, è una cosa che ho vissuto personalmente sulla mia pelle, non mi piace parlare di queste cose, lo trovo un argomento molto delicato. Provo a avere molto rispetto, per quanto, parlando di canzoni, non possiamo fare l’agiografia di Tizio o di Caio, però, quando si tratta di tematiche come il lavoro e la solitudine, il fatto di non riuscire a sbarcare il lunario, sono cose molto reali, molto concrete, però hanno a che vedere anche con un aspetto esistenziale, più profondo, non è solo che viviamo in un paese dove non gira l’economia e dove non sappiamo più a che santo votarci. Salvatore è la figura di una persona completamente persa in un vortice da cui non esce, non può uscire, perché si sente addosso il senso di colpa, che però è una trappola, non puoi essere colpevole di tutto quello che accade attorno a te, invece c’è molta gente che non solo vive l’alienazione di un posto di lavoro, degli ordini a cui deve sottostare ma anche deve avere a che fare con se stesso e si sente sempre inadeguato, non si sente mai all’altezza. Questa è una società che va a catafascio, noi non siamo come i giapponesi che fanno harakiri, perché si sentono disonorati dal fatto di aver perso un posto di lavoro, io spero di appartenere a una civiltà un po’ più elevata, però i fatti sono questi, c’è gente che si appende per il collo per delle situazioni insostenibili e ci scivola piano piano. Io parlo con persone che sono messe così, ho amici che rasentano quelle situazioni, si danno un tono per stare su, bevono molto, si ammazzano nel weekend, poi rientrano al lunedì, tutti quei luoghi comuni che se vogliamo sono piccolo borghesi, però hanno molto a che vedere con tutti e tutti i giorni.
Personalmente, quando ho lasciato un posto di lavoro a tempo indeterminato perché volevo finirla con questo tipo di dinamiche, venivo considerato come una sorta di materia spinosa, scottante, da tenere a distanza, perché siamo in una situazione tale per cui decidere per se stessi, autodeterminarsi, è diventata una forma di patologia. Che fai, decidi cosa è meglio per te? No, c’è un mondo intero a decidere per te, tu non ti adegui, sei un pazzo, sei out. Salvatore è questo.
Tornando al discorso notte/giorno, è vero che c’è un momento della mia giornata in cui faccio questo tipo di riflessioni e ho la quiete necessaria per scrivere, e sono le ore notturne, non ce n’è. Io di giorno sto come i pazzi, anche per la mia situazione familiare. Adesso mio figlio va all’asilo, quindi qualche ora di quiete per fortuna c’è, comunque sì, lavoro di notte. Anche quando studiavo, mi riesce meglio, ho questo metabolismo, e se mi chiedi se questo ha a che vedere con la scrittura delle canzoni, forse sì, e forse è vero che lo dica qualcuno da fuori.

L’ultima domanda stupida: come mai su Spotify ci sono solo questo disco e “Addio Cane”?
Metteremo anche gli altri, è solo un fatto di organizzazione interna e di un mio cattivo rapporto con la tecnologia.



Discografia

Guignol(Lilium/Venus, 2005)7
Rosa Dalla Faccia Scura(Lilium/Venus, 2008)7
Una Risata Ci Seppellirà (CasaMedusa/Atelier Sonique/Tomato/CNI, 2010)7
Addio Cane! (Atelier Sonique, 2012)7,5
Ore Piccole (Atelier Sonique, 2014)7,5
Abile Labile (Atelier Sonique, 2016)7,5
Porteremo gli stessi panni (Atelier Sonique, 2018)7,5
Luna piena e Guardrail(Atelier Sonique, 2020)6
Pietra miliare
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