Departure Ave.

Racconti dal sottosuolo

intervista di Lorenzo Righetto

Immaginatevi di incontrare un amico che non vedevate da tanto tempo e che vi chieda che musica fate. Che pezzo gli suonate?
Il brano che sceglieremmo è “Nancy”, uno dei primi pezzi che abbiamo scritto e registrato durante le session di "Yarn". E’ un brano che secondo noi rappresenta bene il passaggio fra il primo e il secondo disco, e mostra anche bene le diverse anime di questo nuovo album. 




Siete insieme solamente dal luglio 2012, e sembra incredibile che in un solo anno sia uscito “All The Sunset In A Cup”, peraltro registrato interamente dal vivo e frutto anche di improvvisazioni del momento. Da che esperienze venivate prima dei Departure Ave.?
Tutti e quattro avevamo dei progetti differenti che condividevano uno stesso spazio, un box riconvertito in sala prove; spesso ci fermavamo a jammare tra di noi, e quando questi progetti si sono conclusi, ci è sembrato naturale provare a fare qualcosa noi. Paradossalmente i Departure Ave. sono nati prima di suonare effettivamente insieme, perché ci ritrovavamo spesso a casa di Lorenzo ad ascoltare dischi. Quando sono terminate le registrazioni di “All The Sunset In A Cup”, nato più come regalo a noi stessi che come inizio di una carriera, abbiamo fondato il gruppo.

Entrambi i vostri dischi sono nati anche dall’improvvisazione, a me sembra abbastanza evidente però come siate riusciti a dare a questo secondo disco, “Yarn”, una forma più coesa, pur nel pastiche di stili e riferimenti che vi contraddistingue. Ad esempio, tutte le tracce, stavolta, hanno una durata contenuta. Come siete cambiati tra un album e l’altro?
In realtà non abbiamo scelto coscientemente di accorciare la durata, o di dare una forma particolare ai brani. Alla fine delle registrazioni avevamo tantissimo materiale, anche brani più lunghi, ma quando ci siamo trovati a dover costruire un disco coerente abbiamo "scoperto" che un certo numero di brani erano collegati dal tema della fiaba, del piccolo racconto. In questo momento ci piace lavorare in modo completamente libero. Scriviamo i pezzi e in un secondo momento cerchiamo di proporre un insieme coerente, una cosa che non sia solo quaranta minuti di canzoni una di fila all’altra.

Anche il tema di questo “Yarn” sembra più definito: ne parlate come di una “raccolta di piccoli racconti”, e in effetti i brani dal punto di vista testuale, per lunghezza e spirito, sembrano degli haiku. Potete parlarci un po’ dello stato d’animo con cui è stato composto questo disco?
Il disco è stato registrato in due differenti session. La prima, ad aprile, era in realtà volta più alla scrittura, e per nostra fortuna ci siamo ritrovati con tantissime cose nuove che ci hanno portato a scartare tutto ciò che avevamo scritto durante l’anno. Ogni brano in qualche modo è figlio delle nostre sensazioni del momento. Per esempio, “All He Could hear” è nata in una giornata piuttosto tetra, sia dal punto di vista meteorologico che emotivo.
Il fil rouge del disco proviene più da una scelta estetica che musicale. Andrea ha cominciato a farci vedere delle meravigliose immagini di Kay Nielsen, e probabilmente il fatto che fossimo in una casa di campagna ha contribuito a suggestionarci ancora di più sulla tematica del racconto. Ci è venuto spontaneo esplorare di più le sfumature della forma-canzone, piuttosto che della lunga jam psichedelica, anche se "Nyabinghi", per esempio, è una pura improvvisazione, testo compreso.

Una particolarità della vostra musica è il rapporto col jazz, consolidato in “Yarn” con il sax di Raffaele Casarano. È una cosa piuttosto rara nel mondo del rock indipendente, potete dirci da dove viene? Come viene vista la vostra musica da questo mondo “altro”?
Lorenzo studia piano-jazz, di conseguenza il suo modo di suonare non può prescindere dai suoi studi musicali. Siamo abbastanza fissati con i dischi jazz-rock usciti a cavallo fra il ‘60 e il ‘70, e come ogni cosa che ci piace proviamo a riproporla a modo nostro. Raffaele Casarano come Andrea è salentino, e quando gli abbiamo inviato i brani ha accettato di regalarci una collaborazione. La band per un certo verso è stata adottata dal Salento, dove abbiamo registrato il primo disco e fatto le prime esperienze live lontano da casa. L’aspetto più bello è che Raffaele ha colto degli aspetti dell’album che noi stessi non avevamo notato. In un certo senso ci ha spiegato musicalmente il disco.

Sono diverse le influenze apprezzabili nei vostri dischi, ma se doveste scegliere una band tra tutte?
Scusa se dribbliamo questa domanda, ma è veramente complesso per noi scegliere un’unica band. Ti possiamo invece dire i tre album che abbiamo ascoltato di più durante le registrazioni, e che piacciono a tutti i membri della band: “Plastic Beach” dei Gorillaz, “Ege Bamyasi” dei Can e “Sea Change” di Beck. Poi non sappiamo mai bene quanto quello che ci piace si rifletta direttamente sul nostro sound. Probabilmente “All The Sunset In A Cup” aveva riferimenti più evidenti.

Dalla storia della registrazione dei vostri dischi – fatta in poco tempo, con tanta improvvisazione – verrebbe da pensare che la dimensione live sia la vostra preferita. È così? Come siete dal vivo?
Dal vivo cerchiamo in ogni concerto di lasciarci un piccolo spazio per delle piccole improvvisazioni, ma con moderazione visto che siamo una band emergente e non sempre capita di avere il tempo necessario a esprimere questo lato del gruppo. Ci piacerebbe molto restituire lo spirito con cui componiamo i nostri album dal vivo. Non sempre è facile, perché ci sono delle dinamiche e delle logiche interne alle serate che non ci permettono di esprimerci come vorremmo. Per esempio, non siamo ancora riusciti a montare una scenografia e delle luci adatte, cosa fondamentale per una proposta musicale come la nostra.  

Siete partiti con un approccio molto indipendente: disco disponibile in streaming da subito e in forma integrale, edizione fisica autoprodotta (ed esaurita). Ora invece con “Yarn” uscite con Bomba Dischi, potete dirci com’è nata questa collaborazione? Dal vostro punto di vista cosa può fare ancora oggi un’etichetta indipendente per i suoi artisti?
E’ nata per caso: tramite un amico di Lorenzo, Davide Caucci di Bomba Dischi ha ascoltato “All The Sunset In A Cup”, e ci ha da subito incluso in serate molto interessanti. “Yarn” è il disco che sancisce la nostra collaborazione con l’etichetta, che ormai dura da un paio di anni. Un’etichetta, soprattutto quando ha un roster valido, può aumentare l’interesse intorno alla band occupandosi di tutto quello che non è la musica ma che fa parte di questo mestiere, e che talvolta toglie alle band autoprodotte molte energie. Bomba Dischi è un’etichetta giovane, che ha interesse a crescere parallelamente alle realtà musicali che propone, e riesce a capire bene le specificità di tutte le band che ha. Talvolta purtroppo le etichette indipendenti operano in modo molto simile alle major, spingendo tanto sulle band più grosse e lasciando a se stesse le realtà più piccole. Fortunatamente non è il caso di Bomba Dischi.

Avete pensato anche di proporvi a un’etichetta all’estero? Quale scegliereste, nel caso?
Ci sono stati dei contatti con etichette estere, che hanno mostrato grande interesse per la nostra musica, vedremo cosa succederà. Se potessimo scegliere noi, probabilmente diremmo Sub Pop, 4AD e Matador Records.  Ma ci sono una miriade di belle etichette, magari meno blasonate, con cui sarebbe bello collaborare.

Qual è il punto di vista di una band giovane come la vostra sulla scena indipendente italiana? Autoreferenziale e provinciale come può pensare, magari superficialmente, un osservatore vagamente disinteressato? Perché una band dalla proposta personale ed esportabile come i Departure Ave. non va in tour almeno in Europa (in generale sono pochissime le band ad affacciarsi al di là dei nostri confini)?
Stiamo lavorando per fare le nostre prime date europee, presto arriveranno. Crediamo che il contatto delle etichette e delle band italiane con l’estero stia un po’ crescendo ultimamente, esattamente come si sta abbassando l’età media delle band, e stanno uscendo finalmente delle realtà interessanti. Il discorso sulla scena indipendente italiana è abbastanza periglioso. Dischi interessanti escono continuamente, paradossalmente nelle realtà di nicchia l’Italia si è anche creata una certa credibilità, mentre nel terreno del pop-rock indipendente fa ancora un po’ di fatica. Parole come provincialismo e autoreferenzialità sono certamente attribuibili alla scena italiana, a patto che non siano pronunciate dagli stessi che difficilmente fanno lo sforzo di ascoltare nuove realtà, e ancora meno di andare ai concerti. Insomma, da quelli che non fanno nulla affinché questi problemi vengano risolti.



Discografia

All The Sunset In A Cup(self-released, 2013)7.5
Yarn (Bomba, 2014)7.5
Pietra miliare
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