A Singer Of Songs

Mappe e sussurri

intervista di Gabriele Benzing

All’inizio era questione di sussurri. La carezza di una voce, l’ombra di una chitarra. Poi, lentamente, nuovi colori e nuovi compagni di viaggio hanno cominciato ad affacciarsi sulla strada di Lieven Scheerlinck. In occasione dell’uscita del quarto disco a nome A Singer Of Songs, “From Hello To Goodbye”, il songwriter di origine belga (ma di stanza a Barcellona) ha accettato di disegnare per noi la mappa del suo percorso sino a qui.

Ormai sei una vecchia conoscenza per il lettori di OndaRock, fin dai tempi della tua partecipazione al primo volume del nostro OndaDrops. Ma per chi non ti conosce ancora, potresti raccontarci come è nato il progetto A Singer Of Songs?

Circa sette anni fa stavo attraversando una fase piuttosto difficile della mia vita. Avevo rotto con la mia ragazza, ero rimasto all’improvviso senza casa e mi sentivo insoddisfatto di tutto quello che facevo. L’unico modo per combattere la tristezza era scrivere canzoni. Anche se forse erano più confessioni che canzoni, molto intime, personali e spoglie. Le ho scritte e registrate tutte in una sola sessione. Non avevo mai pensato di condividerle con nessuno. Erano canzoni scritte per me stesso, nella speranza che mi aiutassero a stare meglio.

Poi però un amico ha sentito quelle canzoni e mi ha spinto ad aprire una pagina su MySpace per condividerle. Sono rimasto in dubbio per un paio di settimane, ma poi una sera ho seguito il suo consiglio. In quel periodo stavo ascoltando a ripetizione una grandissima canzone di Johnny Cash, così ho preso in prestito il titolo del brano come nome… A Singer Of Songs era nato.

 

A Singer Of Songs ora è una band vera e propria. Come è nata la formazione attuale del gruppo?

Ho incontrato Laura Räsänen in tour. Era stata a un mio concerto in Galizia due anni fa. Avevamo alcuni amici in comune e abbiamo cominciato a parlare dopo il concerto. Mi ha detto che suonava il violino. Così ci siamo incontrati per una piccola jam ed è stato perfetto. Fin dall’inizio ho adorato cantare insieme a lei.

Poi, dopo il tour dell’anno scorso come duo, abbiamo sentito la necessità di qualcuno di forte da avere alle nostre spalle. Così siamo entrati in contatto con José Rosselló, che aveva suonato la batteria in alcune band molto valide. José ha aggiunto un sacco di sottile energia alla nostra musica.

Germán Gadea invece l’ho conosciuto tramite la mia ragazza. Per il mio compleanno mi aveva fatto un regalo davvero fantastico: delle lezioni di tromba. Fin da quand’ero bambino volevo imparare a suonare la tromba. Ha trovato un insegnante bravissimo: Germán è venuto a casa mia, mi ha dato tre lezioni e un paio di settimane dopo stava suonando con noi a un concerto.

 

Il tuo disco precedente, “There Is A Home For You”, aveva molto a che vedere con i ricordi. Quali esperienze del tuo passato hanno influenzato di più il tuo percorso musicale?

Penso che le esperienze più intense che mi hanno influenzato siano passate attraverso l’ascolto della musica. Sono sempre stato un amante fanatico della musica. Mi ricordo che spendevo intere giornate ad ascoltare “Small Change” di Tom Waits in continuazione. Leggendo i testi, analizzando gli arrangiamenti, applicando le parole alla mia vita. “Either/Or” di Elliott Smith, “Vivadixiesubmarinetransmissionplot” degli Sparklehorse… Quegli album mi hanno reso la persona che sono. Ho passato più ore con loro che con qualsiasi persona che conosca.

E poi ovviamente anche trasferirmi dal Belgio a Barcellona è stato molto importante. Da ragazzo di una piccola città con un futuro ben definito sono diventato uno straniero in una grande città, la cui unica certezza era la confusione quotidiana. La confusione è ottima per fare musica.

 

Lieven ScheerlinckCi racconteresti qualcosa della registrazione e della produzione del tuo nuovo album, “From Hello To Goodbye”?

Per la prima volta ho sentito di non essere da solo. Ho scritto le canzoni sapendo che avrei potuto chiedere a Laura, José e Germán di suonare alcune parti. Per cui forse le ho scritte un po’ più in grande, con gli arrangiamenti in mente.

Ho registrato lo scheletro delle canzoni nel mio studio casalingo, poi li ho invitati a dare il loro contributo. Abbiamo fatto ciascuno da sé nella propria casa. È molto importante per me mantenere l’intimità della musica. Specialmente adesso che non sono più solo.

 

Ci sono tinte più lievi nella tavolozza musicale delle nuove canzoni. Che differenza pensi ci sia rispetto ai tuoi dischi precedenti?

Penso che dipenda tutto da quello che dicevo prima. C’è una band stavolta, più strumenti, le canzoni sono state scritte con gli altri in mente. Credo anche di essere migliorato un po’ nella registrazione. Continuo a usare solo un microfono per registrare tutto, ma credo che dovrei avere imparato ormai dove sistemarlo per ottenere un suono migliore.

 

La maggior parte delle canzoni dei tuoi dischi precedenti è stata registrata subito dopo essere stata scritta. Usi ancora questo metodo nel tuo processo di scrittura?

Sì, anche se non succede più in un solo giorno. Inizio sempre a registrare subito dopo aver finito la canzone. Ma adesso mi occorre più di un giorno o di una notte per registrare un brano. Anni fa c’erano solo voce e chitarra e magari qualche armonia da registrare. Ma adesso ci sono il basso, la batteria, il violino, la tromba… Serve un po’ più di tempo perché tutto vada al posto giusto.

Inoltre, ho più o meno imparato ad amare l’idea di una registrazione che cresce lentamente, nel corso di un paio di giorni. Piano piano la canzone passa dall’essere nella tua testa all’essere su nastro. È come guardarla crescere al rallentatore. Penso che sia questa la mia parte preferita del fare musica. Starmene da solo in studio, cercando di registrare una canzone nel modo in cui ha bisogno di essere. E poi quando sento di avere colto l’essenza della canzone sul nastro… è la cosa migliore che possa capitare.

 

“From Hello To Goodbye” è una sorta di diario di viaggio. Che cosa hai imparato viaggiando?

Tutto e niente. Non smette mai di stupirmi come possa capitare di andare in un posto di cui non conosci niente, magari neppure il nome della capitale. E poi, dopo una settimana o giù di lì, torni a casa e ci sono così tante cose che hai imparato. Luoghi, persone, lingue, situazioni, emozioni… Viaggiare è imparare in fast motion. Ma poi torni a casa pensando che sei diventato intelligentissimo e guardi la cartina del mondo e ti accorgi che ci sono ancora così tanti posti di cui non sai ancora niente. Più cose impari, più ti rendi conto di quanto poco sai.

 

Che rapporto c’è per te tra l’idea di viaggio e quella di casa?

Sono arrivato a rendermi contro che “casa” è uno stato d’animo più che un luogo concreto. Mi sono sentito a casa in molti posti e mi sono sentito straniero a casa mia molte volte.

Ogni volta in cui ho pensato di avere una casa, un posto dove poter stare per un lungo tempo, è successo qualcosa che mi ha riportato sulla strada, in cerca di un nuovo luogo da chiamare casa. Finché un giorno ho capito di non essere più alla ricerca di un posto fisico, ma piuttosto di uno stato mentale. Per me essere a casa significa sentirmi a mio agio con me stesso, con quello che faccio e con la gente che mi circonda. È per questo che puoi sentirti a casa anche su un aereo diretto verso un Paese in cui non sei mai stato. E qualsiasi luogo diventa potenzialmente casa.

 

Pensi che i luoghi in cui sei stato abbiano un’influenza sulla tua musica?

Assolutamente. Ho scritto un sacco di canzoni basate su immagini viste mentre ero in viaggio. O su persone che ho incontrato.

Ad esempio, ho scritto “Map Of Lost Places” partendo da un’immagine in cui mi sono imbattuto mentre stavo viaggiando con un amico attraverso gli Stati Uniti. Abbiamo visto una casa abbandonata lungo la strada e abbiamo deciso di dare un’occhiata. Entrambi amiamo i luoghi vuoti e abbandonati, così abbiamo fatto un giro tra i resti di quella che una volta era una casa. Abbiamo cercato di immaginare chi ci avesse vissuto, che cosa li avesse resi felici e tristi e perché avessero deciso di lasciare quel posto. E poi, anni dopo, questa canzone è saltata fuori dalla mia chitarra e all’improvviso tutta quell’esperienza è riemersa e si è unita alla melodia. Sono cose che mi succedono continuamente. Viaggiare è il carburante perfetto per il songwriting.

 

“Happiness will make me fat and bald”, canti in “The Question Is The Answer”. Che rapporto hai con l’idea di trovare una sistemazione?

Sono spaventato a morte dall’idea di sistemarmi, lo sono sempre stato. Ho visto così tante persone dissolversi nella loro felicità. Credo che la felicità abbia a che vedere con questo: essere così rilassato da iniziare a curarsi meno di certe cose. È per questo che divento irrequieto quando sono troppo rilassato. Ho bisogno di confusione per tenere la fiamma accesa. Ma l’ho imparato nel corso degli anni. Non prendo più decisioni stupide solo per tenere viva la confusione. Voglio essere felice adesso. E sono giunto alla conclusione che la felicità è qualcosa che rende piuttosto confusi, quindi va bene così.

 

Lieven ScheerlinckLucía Mussini ha realizzato un artwork molto speciale per “From Hello To Goodbye”. Come ha preso forma l’idea?

Un paio d’anni fa, alcuni amici sono venuti a trovarmi a Barcellona. Non avevano una piantina della città, così gli ho dato quella che usavo io quando ero ancora nuovo in città. Prima di dargliela, le ho dato un’occhiata. Era piena di cose scritte e sottolineate con matite ed evidenziatori. Era come tornare indietro nel tempo. Il bar dove avevo fatto il mio primo colloquio di lavoro. L’angolo dove avevo avuto il mio primo appuntamento a Barcellona. Il cinema dove andavo a vedere film non doppiati in spagnolo. La casa dove ero stato inviato per la prima volta a una festa, con il nome del proprietario appuntato di fianco. Attraverso quella cartina potevo rivivere i miei primi anni in città. E’ stata un'esperienza così bella e nostalgica. Così, quando abbiamo cominciato a parlare dell’artwork con Mabel (Alonso, n.d.r.) e Lucía, la parola “mappa” è saltata fuori piuttosto rapidamente. Mabel ha avuto la brillante idea di realizzare una personale cartina del mondo di A Singer Of Songs e Lucía ha trasformato quella vaga idea in una sorprendente opera d’arte.

 

Hai raccontato che la prima che hai suonato dal vivo le tue mani tremavano così forte che riuscivi a malapena a reggere la chitarra… Come è cambiato nel tempo il tuo rapporto con le performance dal vivo?

Penso che imparare a suonare dal vivo da solo sia stata una delle cose più difficili che abbia mai dovuto fare. Ci si può sentire piuttosto soli sul palco. Ma poi poco a poco ci si abitua. Capisci che la gente non è un nemico, vuole solo essere intrattenuta. Vogliono che tu gli piaccia, almeno nella maggior parte dei casi. Il pubblico ha sempre una sacco di amore da dare. E una volta che te ne rendi conto tutto diventa più facile.

Mi piace essere vicino al pubblico. Parlargli, sentire come reagisce… Adoro quando vado a un concerto e dopo che è finito ho la sensazione di conoscere il cantante un po’ meglio, non solo come cantante, ma anche come persona. È quello che cerco di raggiungere in ogni concerto.

 

L’anno scorso sei stato in Italia per alcuni concerti. Com’è stata l’accoglienza del pubblico italiano? C’è qualche aneddoto che vorresti condividere con noi?

Amo l’Italia. Due dei miei migliori amici sono italiani, per cui mi sono sempre sentito molto vicino al vostro Paese. E poi quei concerti dell’anno scorso… C’è davvero una connessione speciale con voi.

Uno dei posti in cui abbiamo suonato è un negozio di dischi a Milano, “Dischivolanti”. È un piccolo negozio, un po’ come quello di John Cusak in “Alta Fedeltà”. Il proprietario, Ferruccio, è un mio grande fan e lo scorso anno è riuscito a far diventare il mio album uno dei più venduti nel suo negozio. È incredibile quanti dischi ho venduto lì, e gli ordini continuano ad arrivare. Così lo scorso anno, quando eravamo in Italia, siamo andati nel suo negozio per un breve set acustico. Ed è stato incredibile vedere come la gente fosse entusiasta di vederci suonare lì. Come se fossimo una grande band appena arrivata dal suo tour mondiale.

Per cui sì, l’Italia è scritta a grandi lettere su tutte le lavagne da queste parti. E torneremo per un tour più lungo la primavera dell’anno prossimo.

 

Hai iniziato la tua carriera nell’era di MySpace. Adesso hai fondato una nuova etichetta discografica, Son Canciones, insieme a Mabel Alonso. Che cosa ne pensi delle opportunità per gli artisti di promuovere la propria musica offerte dall’era digitale? Secondo te, come è cambiato il mercato musicale negli ultimi anni?

Non ci sono mai state più possibilità per la musica di farsi conoscere, e al tempo stesso tempo non ce ne sono mai state di meno. C’è così tanta musica in giro, oggi, che a volte ne resti sotterrato. Tutte quelle uscite, quei blog, tutti quei grandi artisti anonimi… Lo so che può sembrare contraddittorio detto da uno che ha appena fondato un’etichetta discografica. Ma abbiamo la sensazione che ci sia una mancanza di contatto reale tra musicista e ascoltatore. Tutto è diventato così freddo, persino le nostre risate sono diventate digitali attraverso le emoticon. Basta un click per far sparire una canzone per sempre senza lasciare traccia. Ci sono poche seconde occasioni su internet.

È per questo che vogliamo combinare la possibilità del mercato digitale con la realtà concreta. Artwork fatti a mano, vinili, piccoli concerti in posti insoliti, un legame intimo tra musicista e ascoltatore, applicando il copyleft a tutte le nostre uscite, in modo che la musica possa fluire liberamente… Tornare nel mondo reale. Magari persino farsi venire il mal di pancia quando ridiamo.

 

Hai collaborato con molti altri artisti nel corso della tua carriera (da Tiny Ruins a Craven Canary, da Ana Franco e Benjamin Shaw). Secondo te qual è la chiave per una collaborazione fruttuosa?

Pazienza, fiducia cieca e gioia. Senza una delle tre è impossibile una buona collaborazione. Suonare con altre persone, lasciare che interpretassero le mie canzoni, è stata una delle cose migliori che mi siano mai capitate. È una strana forma di amicizia via cavo.

 

Se la tua etichetta potesse pubblicare il prossimo album di qualsiasi artista, chi sceglieresti (e perché)?

Accidenti, ce ne sono così tanti, nuovi e vecchi… Mi piacerebbe mettere Paul Simon in un piccolo capanno da qualche parte nei boschi con Rick Rubin o qualunque altro produttore che sappia come mantenere semplici le cose quando serve che lo siano. Solo lui, una chitarra, un pianoforte e quelle sue grandi canzoni…

 

Abbiamo chiesto a Lieven Scheerlick un piccolo regalo per i lettori di OndaRock. E lui ha deciso di offrirci la sua cover di “Barcelona” di Will Oldham. Una canzone molto speciale per un catalano adottivo come lui.

Sono sempre stato un grandissimo fan di Will Oldham fin dai temi dei suoi Palace Brothers, ma non avevo mai sentito questa canzone fino a un paio di anni fa. Stavo girando per Barcellona con le cuffie quando l’ho sentita. Racconta una strana storia d’amore di una coppia a Barcellona. Così eccessiva da diventare triste in un certo senso. E Oldham ha ragione: Barcellona può confondere davvero le idee sull’amore. L’abbiamo suonata dal vivo spesso, divertendoci sempre. Così, quando ci hanno chiesto di realizzare una cover di Bonnie “Prince” Billy per un progetto del blog “Slowcoustic”, abbiamo sentito che era la canzone migliore da registrare.


Lieven Scheerlinck
A Singer Of Songs - Barcelona (Will Oldham)
[download]


 

Discografia

I Dig For Gold (Self released, 2008)6,5
Old Happiness (Hi54LoFi, 2010)7
Little Notes (Ep with Tiny Ruins, Underused / Hi54LoFi, 2010)7
The Corner I Seek Is A Place Where No One Meets (anthology, 2011)6,5
There Is A Home For You (Hi54LoFi, 2013)7
From Hello To Goodbye (Son Canciones, 2014)7
Fading (Son Canciones, 2016)7
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Road To Nowhere
(from "Old Happiness", 2010)
One Night
(live, from "There Is A Home For You", 2013)
Silent Soldiers
(live, from "There Is A Home For You", 2013)
Little Sin
(live, from "There Is A Home For You", 2013)
Come Back To Me
(from "From Hello To Goodbye", 2014)
Tall Dreams
(from "Fading", 2016)

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